Analizziamo insieme “Il morso del coniglio”, il nuovo film horror/thriller psicologico targato Netflix.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Il morso del coniglio (titolo originale Run Rabbit Run), è un recente film horror/thriller psicologico, diretto dalla regista Diana Reid e tratto dalla sceneggiatura originale di Hanna Kent, dal 28 giugno 2023 visibile sulla famosa piattaforma Netflix.
La pellicola sta facendo molto parlare di sé, toccando, seppur in maniera cinematografica e orrorifica, alcune tematiche davvero importanti e tanto care alla psicologia.
La trama (con spoiler)
Per poter effettuare un’analisi psicologica del film, occorre parlare della trama completa. Invito quindi alla lettura solo coloro che lo abbiano già visto o coloro che non si facciano impensierire troppo da questo genere di anticipazioni.
Protagoniste della vicenda sono Sarah e sua figlia Mia.
Un giorno, la bambina trova un coniglio bianco abbandonato e decide di portarlo con sé in casa. Da quel momento, la loro vita viene stravolta.
Mia inizia a mostrare strani comportamenti: si è convinta che lei in realtà sia Alice, la sorella scomparsa di Sarah, data ormai per morta molti anni prima, quando le due erano piccole.
La madre, giustamente, inizia a preoccuparsi.
Tanti sono i dettagli che la lasciano esterrefatta:
- dietro ogni disegno scolastico della figlia, ci sono rappresentazioni oscure di lei mano nella mano con un coniglio pieno di sangue e dai denti aguzzi;
- la bambina ama vestirsi con i vestiti di Alice;
- vuole dormire nel suo letto;
- si provoca le stesse ferite e lividi che anche lei aveva;
- indossa spesso una maschera a forma di coniglio, davvero inquietante;
- insiste di voler parlare con la nonna chiusa in una casa di riposo, convincendosi che in realtà sia la vera madre.
I traumi del passato vengono rimossi
Una delle più famose teorie della psicoanalisi ci parla del meccanismo inconscio della rimozione.
Attraverso di essa un individuo, soprattutto se in età infantile, allontanerà dalla sua consapevolezza immagini, sensazioni, emozioni, vissute come traumatiche e fonte di sofferenza. Tenderà, quindi, pur di difendersi dal malessere provato, a rimuovere l’esperienza e posizionarla nelle profondità dell’inconscio.
Ed è proprio quello che è successo a Sarah.
La donna, dopo varie vicissitudini, rievoca il suo passato.
L’aver portato in casa un coniglio abbandonato, ha funzionato da trigger. Con questo inglesismo, la psicologia ci spiega come alcuni avvenimenti del presente possono attivare in noi esperienze traumatiche rimosse, provocandoci anche grande malessere.
Infatti, quando era molto piccola, lei e la sorella Alice amavano giocare a nascondino nella loro grande casa di campagna.
Un giorno, però, Sarah rinchiude Alice nell’armadio di un capannone, per molte ore. Quando lo riapre, la sorella le salta al collo, cercando di strozzarla, indubbiamente arrabbiata.
La reazione di Sarah, estrema, è quella di prendere una trappola per conigli, presente lì sul pavimento, e colpirla in testa.
In stato di shock, Alice scappa, fino ad arrivare nei pressi di un crepaccio che si affaccia su un fiume.
Sarah la rincorre e, vedendo la sorella sporca di sangue e forse impaurita per la reazione dei genitori, decide di spingerla e la fa cadere dal dirupo, uccidendola.
Tornata dal padre e la madre, nasconde la verità e racconta che la sorella è scomparsa.
Dopodiché, ecco attivarsi il meccanismo di rimozione.
E Mia?
Mia, in realtà, è sempre stata sana e in salute.
Sarah, rivivendo il suo passato traumatico da anni dimenticato, ha proiettato in maniera psicotica sulla bambina tutto il suo vissuto.
Mia non ha mai avuto ferite e lividi. Non si è mai vestita da Alice, non ha mai detto di chiamarsi con quel nome. I disegni dietro i fogli scolastici erano opera sua, non della figlia.
Tutto ciò che è accaduto, è stato solo frutto della mente di Sarah. Attraverso le allucinazioni, visive e auditive, la donna ha ricordato il trauma.
La spiegazione della scena finale
Il film si conclude con la figlia Mia, mano nella mano con Alice, che si dirige verso il burrone.
Ovviamente, essendo la sorella morta anni prima, anche questa immagine è frutto della mente di Sarah.
Ma cosa vuole comunicarci questa scena?
Molto probabilmente, la protagonista è pervasa da un enorme senso di colpa.
Dopo aver finalmente rievocato il trauma e aver consapevolizzato che in realtà era lei a star soffrendo e non la figlia, adesso è costretta a fare i conti con tutto il malessere che ha provocato alla piccola Mia.
Non solo: il senso di colpa riguarda anche la morte di Alice. E’ stata lei a procurarla.
L’immagine della sorella che conduce Mia verso il burrone è quindi un modo per autopunirsi, per autocondannarsi e provare quella sofferenza necessaria per poter definitivamente chiudere la vicenda con sé stessa.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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