Psicologia e Cinema: il provocatorio non invecchia – The Rocky Horror Picture Show 46 anni più tardi
Novembre 5, 2021 By Marco MagliozziThe Rocky Horror Picture Show, estroso musical degli anni ’80, ancora oggi è in grado di inviarci importantissimi messaggi di sensibilizzazione sul tema LGBT+, usando modalità divertenti e alquanto bizzarre.
A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo
Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Si è parlato molto in questi giorni della bocciatura del DDL Zan, la proposta di legge che prevedeva maggior tutela verso le categorie LGBT+ e disabili.
Una delle domande che la maggior parte delle persone si è posta, a seguito della sua bocciatura, è stata: da dove nasce tutta quest’avversione nei confronti di chi non è identico a noi?
Nemmeno a farlo apposta – o forse sì – qualche giorno dopo l’affossamento del DDL è comparso quasi come per magia sulla piattaforma Disney+, nella sezione Star 18+ riservata agli “adulti”, lo stravagantissimo, sconvolgente e iconico musical cult The Rocky Horror Picture Show, a ben 46 anni dalla sua uscita.
La trama del musical e il background culturale dell’epoca
Ad una prima visione del film ci si rende facilmente conto che la trama è praticamente irrilevante: non solo perché estremamente bizzarra, ma soprattutto perché il prodotto è pensato per prendere forma tramite le sue provocatorie (e provocanti) allegorie visive, linguistiche e musicali.
È quasi immediato intuire quanto potesse essere bigotta, censurante e ipocrita l’America nel 1975, quando il musical approdò nemmeno nei cinema, ma in alcuni salotti che erano un ibrido tra sale di proiezione e punti ritrovo e che avevano decisamente dell’equivoco.
Già dalla prima scena si capisce quanto il tutto si riveli una gigantesca presa per i fondelli di questa realtà puritana: Brad e Janet – una coppia americana di bianchi etero e cisgender – decidono di sposarsi ispirati dal matrimonio di amici a cui hanno appena assistito, e lo fanno cantando una canzone volutamente ridicola e superficiale in cui si dichiarano il loro stucchevole e melenso amore – con un respiro musicale che va da Dammit, Janet a Brad, I’m mad – e passano in rassegna tutti i materialistici valori della società americana del tempo; ad esempio quando Brad le porge l’anello, invece che pensarlo come un simbolo di eterna cura e affetto che si incarna nel matrimonio, Janet esclama che è più bello di quello che aveva la sua amica che si è appena sposata, il che ci rimanda al terribile formalismo e spirito di apparenza che caratterizza queste dinamiche in quel tipo di società.
Il Dottor Frank-N-Furter: estremizzare il proprio ruolo pur di mandare un messaggio
La coppia – a causa di una violenta tempesta – giunge nel castello queer del doctor Frank-N-Furter; il padrone di casa è interpretato da un sensualissimo Tim Curry, che sfila su tacchi altissimi, calze a rete, dando prova di balletti erotici e ipnotici assieme a tutti i suoi coinquilini; il tutto, ovviamente, altro non genera che far provare a Brad e Janet un misto di orrore, terrore e disgusto.
Ma la presa in giro non finisce qui: in una ripresa provocatoria del Frankenstein di Mary Shelley, il dottor Furter ha appena terminato di costruire una creatura, un uomo nuovo di zecca: si chiama, appunto, Rocky.
È innanzitutto significativo notare come, quando il dottore apre tutti i rubinetti che stanno al di sopra della vasca dove giace l’ancora addormentato uomo delle meraviglie, si crei attorno alla creatura uno spesso strato di liquidi colorati che visivamente vanno a formare proprio la bandiera arcobaleno, notoriamente oggi simbolo della comunità LGBT+ e in generale della libertà di amare chiunque e comunque; un secondo elemento fondamentale è costituito dall’aspetto di Rocky: biondo, occhi chiari, abbronzato, muscolosissimo e in slippino dorato. Il prototipo americano di maschio alfa, per farla breve. Inoltre, è irrimediabilmente idiota, e quindi più facile da manipolare.
Dettaglio da non trascurare è che Brad e Janet, al loro arrivo, sono stati letteralmente – ma soprattutto metaforicamente – spogliati dei loro vestiti e costretti a girare per il castello in mutande. Questo perché la loro transizione apparentemente casuale nel castello sarà un punto di crisi e di svolta per la coppia, che a turno si ritroverà inaspettatamente ad avere rapporti sessuali con il dottor Furter e a essere da lui introdotti nel mondo del sesso.
Non a caso, in una sequenza successiva, Janet cercherà quasi disperatamente un contatto intimo con Rocky, dicendo che nonostante non avesse fino a quel momento compreso il senso dell’arrivare all’heavy petting, adesso I’ve tasted blood and I want more (ovvero: ho provato questo piacere, ne voglio ancora).
Non esiste solo un modo di essere: ognuno di noi è giusto
Per concludere, al di là della dimensione parodica del film, il messaggio è chiaro e irrevocabile: non esiste un solo modo di essere, anche perché l’anarchia sessuale di Frank-N-Furter – così estroso, disinibito e piccante – è estremizzata quanto lo è il finto perbenismo e l’estremo senso castità di Brad e Janet; sono entrambi simboli che, messi in opposizione, vogliono trasmettere che non serve essere una wild and untamed thing (come dice la canzone Rose Tint My World) per esprimere ciò che si è liberamente; l’importante è non restare intrappolati in una dinamica di auto-censura della nostra vera essenza e ascoltare pregiudizi che altri ci inculcano, convincendoci che siano giusti.
Insomma, chiudendo con Frank-N-Furter: don’t dream it, be it! (non sognarlo, diventalo!).
A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo
Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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