In questi ultimi giorni l’Afghanistan è nuovamente nel caos: i Talebani sono di nuovo al governo. Ma come agisce sulle masse questo gruppo fondamentalista islamico? Scopriamolo insieme.
A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Le notizie di cronaca ci comunicano all’unisono una spiacevole novità: l’Afghanistan, dopo anni di governo filo-occidentale, è nuovamente nelle mani dei Talebani.
Vediamo insieme, in questo articolo, come agisce un movimento fondamentalista e come attua quella che viene comunemente definita “psicologia del terrore”.
L’obiettivo primario è, come intuibile, far leva sulla paura delle persone: utilizzando minacce e ripercussioni fisiche e psicologiche, il movimento mira quindi a gonfiare le proprie fila.
L’integralismo religioso, inteso come estremizzazione e interpretazione della propria fede, svolge un ruolo fondamentale: chi aderisce all’organizzazione potrà godere del paradiso e verrà benedetto dal proprio dio, al contrario di chi si rifiuta che sarà invece condannato alla dannazione eterna dopo la morte.
La psicologia del terrore mira inoltre a creare un “nemico” comune, la minaccia numero uno da neutralizzare, gli “infedeli” da sconfiggere! Ciò crea, nelle persone maggiormente influenzabili, un parafulmine sul quale scaricare tutti i problemi, le sofferenze e le insoddisfazioni. Il movimento integralista solleva letteralmente il popolo contro qualcuno o qualcosa, ottenendo favori e aumentando le proprie fila.
Altra strategia è indubbiamente quella di far leva sulla povertà e l’ignoranza delle persone: il “nemico”, in questo caso il governo Afgano, viene individuato come il responsabile numero uno di tutti i problemi del Paese.
Il movimento si offre quindi come unica e valida soluzione, come eccellente alternativa in grado di risolvere ogni dramma.
Le promesse, false o vere che siano, sono quindi alla base della campagna di arruolamento.
Anche se l’organizzazione pone le sue fondamenta su una religione, la sua potenza è soprattutto di natura psicologica: il movimento sfrutta quindi la situazione di disagio di chi vive in zone degradate, la disperazione di chi rischia di non poter portare il piatto a tavola ai propri figli, vende il sogno di un grande popolo arabo unito e forte.
Sfruttando questi vuoti istituzionali, i talebani hanno offerto welfare, istruzione e lavoro alle popolazioni locali, ottenendo in cambio la loro lealtà.
La psicologia del terrore, ovviamente, fonda le proprie radici anche sulla paura della morte: i Talebani hanno nel tempo dato prova di saper “punire” in maniera molto severa – ovvero con la morte – i propri nemici politici e non solo.
Gli attentati terroristici, ad esempio, sono solo un mezzo utilizzato da questi movimenti per rafforzare il proprio controllo e aumentare il senso di paura e di impotenza delle persone. Come afferma il Prof. Clark R. McCauley, professore di psicologia al Bryn Mawr College, “il terrorismo infligge danni immediati, distrugge vite e oggetti, ma la verità è che i terroristi sperano che i costi a lungo termine saranno molto più grandi“.
Nell’immaginario comune, infatti, i movimenti integralisti come i Talebani vengono considerati come dei “pazzi tagliagole”, animali selvaggi senza alcuna logica. In realtà, come visto, il loro operato è molto intelligente: l’atto terroristico in sé, con la sua “spettacolarizzazione”, serve solo per aumentare il senso di controllo sulle masse, per rafforzare la propaganda politica e la ferrea presa sulla popolazione.
Rispetto a 20 anni fa, inoltre, tutto è cambiato grazie (o a causa) di internet: il web offre a questi movimenti un efficacissimo strumento di divulgazione delle proprie idee e diventa una eccellente piattaforma di arruolamento.
Emblematica, infine, la straziante scena di quella madre che cerca di dare il proprio figlio, di pochissimi mesi, a un soldato americano, nella speranza che possa portarlo via dal Paese. Questa drammatica fotografia ci spiega che non tutti coloro che aderiscono a un movimento lo fanno volontariamente, anzi, forse sono la minoranza. La maggior parte della popolazione è costretta a scegliere tra la vita, seppur piena di limitazioni, e la morte. Quella madre ha scelto di concedere a suo figlio una speranza, consapevole che forse non lo avrebbe più rivisto.
A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari