Stare troppo spesso da soli fa male alla salute, soprattutto a quella cognitiva: lo dimostrano alcuni studi
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Esistono principalmente due forme di solitudine: una volontaria, ricercata, piacevole, molto utile per ricaricare le energie e ritrovare sé stessi con l’obiettivo di star meglio; un’altra, purtroppo, obbligata, forzata, causata dalla mancanza di relazioni sociali, da gravi problemi di salute, difficoltà emotive e/o psicologiche, assenza di legami familiari.
Ebbene, questa seconda tipologia di solitudine sarebbe la causa, secondo numerose ricerche, di gravi conseguenze sul nostro cervello: una più bassa funzione cognitiva, depressione, ansia, tendenze suicide, disagio psicologico, scarsa autostima, stress e disturbi del sonno.
I dati in Europa sono preoccupanti
La solitudine forzata è un vero e proprio fattore di rischio e un problema per la salute pubblica.
Secondo una ricerca condotta nel 2016 dal Joint Research Centre della Commissione Europea, circa il 12% dei cittadini europei ha dichiarato di sentirsi solo e, nel 2021 a causa della pandemia, i numeri sono raddoppiati arrivando al 25%.
Le ricerche in merito alla salute del cervello associata alla solitudine
Il ricercatori del consorzio europeo LifeBrain, guidato dall’Università di Oslo, hanno scoperto come la solitudine forzata e prolungata del tempo sia causa di declino della memoria verbale, provocando quindi difficoltà a ricordare bene le parole.
Gli studi condotti sull’argomento dall’Università di Barcellona, e riportati su Frontiers, hanno evidenziato una maggiore possibilità di sviluppare forme di demenza nei soggetti anziani costretti a vivere da soli.
Nel 2013, un’analisi condotta su oltre 6.000 anziani che avevano preso parte all’English Longitudinal Study of Aging (Elsa), aveva mostrato come le persone con meno contatti e attività sociali all’inizio dello studio riportavano un declino più accentuato delle funzioni cognitive (in termini di fluidità verbale e capacità di memoria).
DEPRESSIONE ESTIVA: LA SUMMERTIME SADNESS
Non solo il cervello, anche il cuore ne risente
Una meta-analisi dell’Università di York, nel Regno Unito, condotta su oltre 180 mila persone, riporta come la solitudine e l’isolamento sociale sarebbero legati a un aumento del 29% del rischio di infarto o angina e del 32% del rischio di ictus.
Le motivazioni andrebbero ricercate nelle abitudini di vita che spesso si accompagnano alla solitudine: quando si è soli si mangia male, magari si fuma tanto, si pratica meno attività sportiva.
Cosa fare quindi?
Se abbiamo un parente, molto spesso anziano, costretto alla solitudine per varie cause, magari difficoltà fisiche o perché vive in un altra città, possiamo quindi cercare di far qualcosa per lenire il suo stato di isolamento, così da prevenire gravi conseguenze sulla sua salute, sia fisica sia cognitiva.
Se invece la solitudine è un problema che ci riguarda da vicino, il nostro compito è quello di comprendere cos’è che lo stia causando, forse un nostro disagio nel coltivare relazioni sociali, alcune nostre paure o fobie, problemi d’ansia o dinamiche di altro genere.
Parlarne con uno psicologo, per iniziare, potrà solo far bene.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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