Le punizioni corporali influenzano negativamente lo sviluppo del cervello del bambino.
Secondo uno studio dell’Università di Harvard, pubblicato sulla rivista scientifica Child Development, si è osservato che i bambini, le cui famiglie usavano punizioni corporali, hanno maggiori probabilità di sviluppare, da adulti, ansia, depressione, problematiche comportamentali o altri disagi legati alla propria salute mentale.
Grazie alla risonanza magnetica e all’osservazione di diverse immagini di attori che facevano espressioni più o meno paurose, è stata notata l’attività cerebrale del bimbo percosso: i risultati di questa ricerca, infatti, hanno evidenziato come schiaffi, sculacciate, punizioni corporee in genere, stimolino una risposta neurale nella corteccia pre-frontale del cervello, nello specifico nell’area adibita alle reazioni di fronte al pericolo. Questa zona dell’encefalo influenza il processo decisionale e reagisce a tutti quei segnali che tendono a individuare risposte a episodi come le minacce.
La reazione psicologica del bambino
Inoltre, molti altri ricercatori focalizzano l’attenzione soprattutto sulla reazione emotiva e psicologica che si innesca: se un bambino viene colpito da una figura di attaccamento, quale ad esempio la madre o il padre, entra nel caos! Questo perché, quella stessa persona che lo ha percosso, è la medesima che lui percepisce come “porto sicuro” e punto di riferimento amorevole e confortante. Il “cervello rettiliano” (adibito all’“attaco/fuga” e alla emozioni primarie di sopravvivenza) entra quindi in confusione, gira a vuoto, non riuscendo più a comprendere se la persona che lo ha colpito sia una minaccia o meno. Il rischio, inoltre, è che la reazione istintiva di attacco del bambino, intesa come risposta automatica allo schiaffo ricevuto, si proietti magari sul primo malcapitato, ad esempio il fratello o la sorella o un compagno di scuola. La reiterazione di tali meccanismi rischia di creare la convinzione che il comportamento violento è quindi accettabile, divenendo una delle opzioni che il bambino ha di agire.
Lo stato di disregolazione
Gli psicologi chiamano questo stato del bambino “disregolazione”. I neuroni formano connessioni che la corteccia cerebrale fatica a interpretare, così il cervello è “frustrato”, e si può dis-integrare. Questa dis-integrazione è il risultato dell’impossibilità di collegare informazioni così diverse riguardo una singola persona (il genitore). Il bambino non riesce a fare previsioni circa il comportamento della mamma o del papà, che a volte consolano e a volte puniscono con violenza.
Come conseguenza di ciò, il bambino rischia di strutturare dei comportamenti preferenziali e una tipologia di pensiero semplicistico. Ciò spiegherebbe i risultati di molti studi che mostrano come i bambini che vengono puniti fisicamente dai genitori avranno anche tipicamente un quoziente intellettivo più basso e peggiori risultati scolastici; avranno più possibilità di commettere crimini, soffrire di depressione, fare a botte, avere problemi di alcool e droghe.
Esprimere l’autorità genitoriale
Un genitore o qualsiasi figura di riferimento ha la necessità di esprimere la propria autorità. Questo è necessario al bambino per comprendere il concetto di “regola”, di “norma”, di cosa è giusto o sbagliato fare. E’ possibile, in ogni caso, educare il bambino anche e soprattutto attraverso il dialogo e gli esempi, piuttosto che con la violenza. La comunicazione assertiva può divenire un ottimo modo per esprimere autorità, senza provocare lividi.