Pochi giorni fa si è consumata una strage familiare: un 17enne ha ucciso i genitori e il fratellino. Analizziamo questa dolorosa vicenda da un punto di vista psico-criminologico. Cos’è il raptus?
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
La vita degli italiani è stata scossa da una enorme tragedia familiare: a Paderno Dugnano, in Lombardia, un ragazzo 17enne ha ucciso il padre, la madre e il fratello dodicenne.
Il motivo? Stando ai primi interrogatori, il giovane ha affermato di sentirsi “oppresso e un corpo estraneo”.
Ma cosa può scattare nella mente di una persona per compiere un atto così violento? Esiste il raptus omicida? Analizziamo insieme la vicenda da un punto di vista psico-criminologico.
Il profilo del ragazzo 17enne
Stando alle prime ricostruzioni e ai primi interrogatori, il ragazzo appariva all’esterno come una persona normale: frequentava il liceo scientifico, praticava sport, usciva con amici. Insomma, un giovane come tanti.
Nessuno, in questi anni, ha mai scoperto cosa covasse profondamente, il disagio che stesse vivendo.
Durante il colloquio criminologico con gli esperti, ha ammesso di sentirsi “un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio. Me ne sono accorto un minuto dopo: ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato”.
L’azione omicida, stando alle prime analisi, sembra inoltre premeditata: era già da qualche giorno che il ragazzo stava pensando di uccidere la sua famiglia.
Il raptus omicida: cos’è?
Ogni volta che sentiamo parlare di un omicidio, alla mente salta immediatamente il termine raptus: una persona che, presa da un momento di follia, compie un gesto così efferato come provocare la morte di qualcuno.
In realtà, le scienze multidisciplinari che compongono la criminologia ci parlano chiaro: il raptus non esiste!
Ogni gesto, anche il più violento come un pluriomicidio, ha sempre una motivazione, che può essere sia conscia sia inconscia. L’omicida, quindi, può sia premeditarlo (e quindi prepararsi volontariamente) sia covare nel profondo (senza accorgersene razionalmente) una serie di malesseri, dolori, traumi non elaborati, che infine sfociano nell’azione finale.
Secondo una ricerca, infatti, solo l’8% degli omicidi coinvolge persone con patologie mentali, che potrebbero quindi essere colte da uno scompenso psicotico e perdere il controllo. Ma anche in tal caso, avremmo comunque la spiegazione psicopatologica.
Nella maggior parte dei casi, di conseguenza, l’omicidio ha come protagonisti persone all’apparenza “sane”, senza patologie diagnosticate, e il raptus sarebbe “solo” l’ultima goccia che fa traboccare il vaso, vaso già pieno di una storia personale di cui nessuno è a conoscenza e che, strabordando, potrebbe portare a commettere tali efferate violenze.
Prevenzione, prima di tutto
Da psicologo, non essendo il mio campo, non entro nel merito delle indagini e delle conseguenze penali che subirà il ragazzo. Da essere umano, però, mi sento molto vicino ai parenti e agli amici che hanno visto distruggersi un’intera famiglia.
E’ mio dovere in ogni caso sottolineare quanto, in Italia, si faccia davvero poco per quanto concerne la prevenzione. Come è possibile che nessuno, magari a scuola, o nel gruppo sportivo, si sia mai accorto delle difficoltà di questo ragazzo?
Nel nostro Paese non esiste lo psicologo scolastico, se non grazie a sporadici bandi che qualche scuola decide di sponsorizzare. Non esistono corsi di formazione, di prevenzione, di gestione delle emozioni, corsi nei quali viene promossa la genitorialità e il rapporto genitore-figlio. E’ tutto relegato all’iniziativa di qualche professionista privato, sensibile all’argomento.
Nel tempo, quindi, è quasi scontato che un adolescente si perda e che non venga recuperato, il cui dolore rimanga nascosto e poi sfoci in atti così estremi.
Mi auguro che questi eventi così nefasti possano servire da monito: bisogna investire sulla salute mentale dei ragazzi, senza dare per scontato nulla! Altrimenti, ahimè, continueremo a leggere sui giornali tali tragedie.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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