Scopriamo insieme la storia di Achille, uno dei più grande eroi della mitologia greca, simbolo di forza, coraggio e determinazione e, nello stesso tempo, anche di paura e vulnerabilità.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi e di Dott. Stefano Francavilla
Sono giorni intensi questi, nei quali stiamo scrivendo orribili pagine della storia dell’umanità. Il conflitto bellico Ucraina-Russia si sta consumando proprio adesso, causando numerose vittime tra militari e civili e, non solo, dimostrando ancora una volta che l’essere umano, della guerra, sembra proprio non poterne fare a meno.
Abbiamo analizzato, proprio qualche giorno fa, l’archetipo “guerra” che si attiva in noi ogniqualvolta ascoltiamo, leggiamo o guardiamo notizie che riguardano questo genere di violenza.
Impossibile, dunque, non parlare di mitologia quando si rievoca la nostra memoria archetipica. E quale migliore esempio se non quello della storia di Achille? Grande protagonista di uno dei conflitti più famosi della storia umana: la guerra di Troia!
La storia di Achille
Achille, figlio di Peleo – principe dell’isola Egina – e di Teti – immortale ninfa marina – è uno dei più famosi eroi della mitologia greca, ricordato come il più grande e valoroso guerriero tra i combattenti achei durante la guerra di Troia.
La madre, venendo a sapere da un oracolo che il figlio sarebbe stato destinato a diventare un grande eroe, volle renderlo immortale. Lo portò dunque al fiume Stige (o Lete, a seconda delle versioni) e lo immerse nelle sue acque, così da rendere invulnerabile ogni parte del suo corpo tranne, però, il tallone, con il quale lo resse per non farlo annegare.
Da bambino, Achille già faceva mostra di grande velocità e forza, esprimendo, talvolta, anche un carattere troppo duro e desideroso di gloria e violenza.
Durante l’infanzia, il nostro eroe conobbe inoltre Patroclo, con il quale rimase amico per tutta la vita – altre versioni narrano invece di un rapporto sentimentale -.
In seguito, divenne discepolo del centauro Chirone, completando così la sua formazione.
Quando scoppiò la guerra di Troia, i grandi Re achei chiamarono a raccolta i loro alleati, tra cui anche Achille e il suo temuto esercito di Mirmidoni. Il padre Peleo, temendo che il figlio potesse perdere la vita in battaglia a causa di una profezia, decise di nasconderlo alla corte di Re Licomede, travestendolo da donna. Odisseo (o Ulisse), famoso per la sua astuzia e intelligenza, riuscì però a trovarlo e convincerlo a partire per Troia, facendo leva sulla gloria eterna che questa impresa gli avrebbe riservato.
Durante il conflitto – durato ben dieci anni – Achille si mostrò invero il terrore di troiani, seminando morte e distruzione tra le loro fila. Molti fuggivano ancor prima di affrontarlo, poiché era considerato invincibile.
Durante una delle tante battaglie, Patroclo – suo amico/amante – perse la vita, ucciso dal più grande guerriero troiano, Ettore. Questo evento scatenò la rabbia e la furia distruttrice di Achille, che volle reclamare vendetta. A seguito di un epico duello a singolar tenzone, l’eroe acheo uccise Ettore, legando poi il suo cadavere a un carro e facendogli fare dieci volte il giro delle mura della città, come monito ai troiani.
Achille morì poi in battaglia, ucciso da Paride, il principe dei troiani, che lo colpì con una freccia avvelenata proprio nel tallone, il suo unico punto debole.
Il significato simbolico e psicologico del mito di Achille
Cosa ci insegna la storia di questo grande eroe?
Achille, così come moltissimi altri personaggi della mitologia greca, subisce passivamente il destino, scritto per lui dagli dei e profetizzato dagli oracoli: un grande guerriero, che avrebbe conquistato eterna gloria in battaglia, che sarebbe stato ricordato nei secoli a venire ma che avrebbe trovato, in giovane età, la morte.
Un combattente, quindi, che decide di accogliere il fato concepito per lui e non, al contrario, di rifiutarlo.
C’è davvero una scelta? I miti greci, spesso, la offrono ai protagonisti delle loro storie ma, al contempo, essa non è mai tale, apparendo sempre come una domanda retorica. Achille, di fronte alla decisione di morire da eroe o vivere sino alla vecchiaia ma senza alcuna gloria, opta ovviamente per la prima strada.
Achille è anche colui che racchiude, in sé, diverse e contrastanti qualità: forza, coraggio, determinazione ma anche paura e vulnerabilità. Un uomo invincibile, certo, ma timoroso e insicuro di partire o meno per la guerra. La sua invincibilità simboleggia anche ciò che noi siamo: spesso appariamo perfetti, indistruttibili e inscalfibili, ma avremo sempre un punto debole, qualcosa che, nel profondo, riesce a ferirci.
Il nostro eroe rappresenta inoltre un chiarissimo esempio del peso gravoso delle aspettative degli altri: destinato a diventare un grande guerriero, la stessa madre lo volle rendere invincibile – indirizzandolo ancor di più verso il suo fato – e fu inoltre fatto divenire allievo di uno dei più importanti maestri di quel tempo, il centauro Chirone. Un bambino, dunque, che dovette accettare passivamente il suo destino, sin dalla tenera età.
Achille simboleggia, infine, anche la rabbia distruttiva, colui che non è in grado di perdonare, di controllare le emozioni ma di lasciarsi coinvolgere e guidare da esse, nel bene e nel male.
La sindrome di Achille
Questo mito ha ispirato anche il mondo della psicologia, che ci parla della “sindrome di Achille”.
Una dinamica psicologica che riguarda quelle persone che vengono riconosciute e apprezzate come valide, che hanno ottenuto la stima degli altri, che riescono spesso a raggiungere i loro obiettivi ma che, al contempo, si sentono insicure, incerte, deboli.
Un po’ come l’eroe greco, esse trasmettono un’immagine invincibile ma celano un profondo nodo di vulnerabilità.
La sindrome di Achille si presenta in una persona che corrisponde a queste sette condizioni:
- Disparità fra competenza riconosciuta dall’esterno e quella riconosciuta da sé stessi, unita alla sensazione di essere un impostore;
- Forte ansia e tensione prima di svolgere un compito rilevante;
- Tensione spropositata o sfinimento dopo la prestazione;
- Senso di sollievo, anziché di soddisfazione, dopo aver concluso un compito;
- Impossibilità di usare l’esperienza di successo come fonte di sicurezza per le prestazioni successive;
- Senso di paura, vergogna, umiliazione al pensiero di essere scoperti;
- Solitudine dovuta al desiderio di ottenere supporto dagli altri, bloccato dalla paura di non essere compresi.
La sindrome può manifestarsi in diversi ambiti di vita: lavoro, studio, sport, relazioni interpersonali o relazioni affettive (es. essere un compagno o una compagna), vita familiare (es. essere padre o madre; cura della casa).
Conclusioni
A differenza dei miti greci, nella nostra vita ci è sempre offerta una scelta: nulla è già scritto, anche se così pare. La nostra abilità sta nel coglierla, nel leggere al di là dell’apparenza e osare di percorrere strade mai battute.
Ognuno di noi racchiude in sé grandi qualità – che a volte ci fanno sentire invincibili – e, contemporaneamente, anche delle aree di miglioramento, delle parti da potenziare, che potrebbero essere però vissute come difetti, debolezze, qualcosa di negativo.
La psicologia ci insegna a dare valore anche ai nostri lati “deboli”, così da consapevolizzarli e non renderli un tabù – come il tallone di Achille -, mettendo in risalto sempre e solo i nostri pregi. Mostrare solo e soltanto il nostro lato migliore rischia di creare delle maschere, inviando un controproducente messaggio di perfezione a tutti i costi, spesso per rispondere alle aspettative degli altri.
Questo mito greco ci invita dunque a essere noi stessi, sempre, nelle nostre qualità e con i nostri limiti.
Non solo: l’equilibrio emotivo è un risultato da non trascurare. Le emozioni, se travolgenti, rischiano di controllarci e farci compiere scelte sbagliate.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi e di Dott. Stefano Francavilla
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