Scopriamo insieme come reagire al meglio a un fallimento e come possiamo imparare, in maniera evolutiva, qualcosa di nuovo grazie a esso.
Sono passati solamente due giorni dal grande successo dell’Italia contro l’Inghilterra nella finale Euro2020 e, oltre all’ovvia felicità, ci restano impresse anche due immagini: i nostri calciatori che sollevano festanti il trofeo e il gesto emblematico dei giocatori inglesi che si sfilano la medaglia d’argento al momento della premiazione.
Vediamo insieme quale insegnamento, invece, bisognerebbe essere colto dopo una sconfitta.
In un mondo quasi totalmente basato sul concetto di successo e fallimento, vincere è diventato quasi un dovere, un distintivo da mostrare come prova per il riconoscimento e l’affermazione a livello sociale.
Purtroppo, molti di noi devono fare i conti anche con la sconfitta: non sempre, infatti, riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi anzi, alcune volte il mancato raggiungimento di quest’ultimi genera in noi un grande stato di malessere e insoddisfazione. Perdere, molto spesso, è sinonimo di fallimento e di vergogna, un’onta difficile da cancellare.
Psicologicamente parlando, ognuno di noi dovrebbe sviluppare un obbligo evolutivo di imparare ad accettare gli insuccessi, cogliere da essi un insegnamento per la vita, così da poter fare meglio la volta successiva.
Il rischio più grande, infatti, è quello che una sconfitta possa trasformarsi in un tracollo personale, creando delle convinzioni limitanti che minano l’autostima e il potere personale, generando infine un circolo vizioso.
Se quindi sbagliare, cadere in errore, non raggiungere un obiettivo, rientrano in quelle dinamiche del tutto naturali della vita umana, il nostro atteggiamento di fronte a ciò è invece una nostra scelta.
Quali sono le principali cause del malessere?
- Bassa tolleranza alla frustrazione e agli imprevisti: alcuni di noi hanno grande difficoltà ad accettare e assimilare che qualcosa possa andare diversamente dai nostri piani. Ciò genera frustrazione e disagio, con conseguenti emozioni vissute come negative, quali rabbia o tristezza.
- Falsa autostima: se il nostro Sé ideale (ovvero l’idea che abbiamo di noi stessi) è troppo distante da ciò che effettivamente siamo e dalle nostre capacità, un fallimento può mettere a nudo tale differenza, creando una distopia e costringendoci a rielaborare il concetto che abbiamo di noi.
- Valori troppo rigidi: a volte, a causa dell’educazione ricevuta o delle esperienze di vita, abbiamo strutturato un insieme di convinzioni e di valori molto rigide, basate sull’obbligo del successo. “Bisogna per forza vincere!”, “E’ inammissibile sbagliare”. Ovviamente, la disparità tra il risultato negativo ottenuto e il proprio pensiero, genera un immancabile malessere.
- Aspettative sociali troppo elevate: ognuno di noi vive in un mondo fondato sulle relazioni sociali ed è quindi naturale, quasi scontato, che si generino aspettative di successo sulla base di quello che altri individui pretendono da noi, siano essi familiari, colleghi o responsabili di lavoro, amici, partner. La mancata risposta a queste aspettative crea quindi un naturale malumore.
Imparare dalla sconfitta
Paradossalmente, da un punto di vista psicologico ed evolutivo, la sconfitta ha un valore enorme nella vita, offrendo un insegnamento ancora più grande rispetto a un successo.
L’essere umano, infatti, per natura ha basato la propria evoluzione proprio sugli errori, che gli hanno permesso di correggersi nel corso dei millenni sino a divenire l’Homo Sapiens che tutti noi oggi siamo.
I fallimenti sono una grande fonte di conoscenza: da questi scopriamo i nostri limiti e come fare per superarli; ci permettono, inoltre, di avere un’idea di noi stessi più concreta, meno illusoria, e generare un’autostima basata su dati di realtà.
Gli insegnamenti ricevuti ci aiutano anche a far meglio in seguito, attuare nuovi comportamenti e reimpostare i nostri obiettivi.
Ma, prima di tutto, la sconfitta va accettata, con curiosità e interesse. A nessuno piace perdere, ma chi sa come farlo supera la sensazione di frustrazione in tempi relativamente brevi e si concentra sull’insegnamento che ne deriva.
Non si tratta di una utopia o di negare la realtà, bensì di accettare di aver perso in un’occasione e di concentrarci su quello che abbiamo imparato da questa esperienza. E ciò vale molto di più del risultato ottenuto.
Anche una medaglia d’argento è un premio.
Possiamo quindi focalizzare la nostra attenzione su quell’ultimo metro che non siamo riusciti a percorrere, immergendoci in un vortice negativo di malumore, oppure possiamo concentrarci sul grande cammino fatto sino a quel momento, dicendo a noi stessi che, in fin dei conti, siamo stati davvero eccezionali e che la prossima volta potremo solo far meglio.
Da ciò dipende in toto il nostro benessere.