“Lucifer”, famosissima ed esilarante serie tv Netflix, ci offre una visione sui generis dell’Inferno: un luogo nel quale i dannati vengono condannati a rivivere per sempre i loro sensi di colpa.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
“Lucifer” ha il merito di presentarci un protagonista davvero speciale: il diavolo in persona (interpretato da uno spassoso e quanto mai indovinato Tom Ellis), venuto sulla Terra per sperimentare una vita da essere umano.
La serie ci mostra una visione sui generis dell’aldilà, con angeli e demoni tutt’altro che esseri perfetti, caratterizzati da emozioni e sentimenti tipici degli umani, che vivono tra noi, imparando, crescendo ed evolvendo (o involvendo) grazie alle loro esperienze terrene.
Questo articolo di oggi non ha però l’obiettivo di esaminare la psicologia dei personaggi o di narrarne le vicende, bensì di analizzare un interessante aspetto che la serie ci propone: una visione dell’Inferno davvero singolare.
L’Inferno e il senso di colpa
Distaccandosi dalla classica idea dantesca, “Lucifer” ci presenta dunque il suo personalissimo Inferno, concepito come un luogo tetro, inospitale, glaciale e senza sole: uno sterminato labirinto, pieno di corridoi senza fine, nei quali si aprono qua e là delle porte che conducono a delle prigioni, una per ogni essere umano condannato alla dannazione.
All’interno di questi oscuri luoghi avvengono le torture, le quali rispettano un’interessantissima logica: ogni dannato è costretto a rivivere per l’eternità la scena della sua vita per la quale prova maggiormente senso di colpa.
L’episodio viene rivissuto ancora e ancora, e i demoni infernali recitano, letteralmente, i protagonisti della vicenda, avendo come specifico compito quello di sottolineare tutti gli elementi fonte di sofferenza, rimorso e rimpianto.
Non solo quindi assassini, criminali, ladri, truffatori, persone malvage in genere: l’Inferno di “Lucifer” accoglie coloro che, in un modo o nell’altro, al momento della loro morte portano con sé il peso del senso di colpa, questo sentimento propriamente umano, capace di corrodere per sempre addirittura l’anima.
C’è un significato psicologico dietro tutto questo? Assolutamente sì!
L’essere umano condivide con altre specie viventi la capacità di provare emozioni: tristezza, gioia, paura, rabbia, disgusto e molte altre. Il senso di colpa, al contrario, è un sentimento nostro e solo nostro, una caratteristica distintiva che ci accomuna, un sentito solamente umano.
A differenze delle emozioni primarie, la colpa viene definita come un’emozione morale, costruita e appresa, in quanto ci viene, letteralmente, insegnata ed è strettamente legata alla cultura di appartenenza. In ogni contesto c’è infatti un certo consenso circa le azioni che rendono gli individui colpevoli, creando una norma condivisa e il relativo pensiero di ciò che sarebbe giusto o non giusto fare.
A partire dall’infanzia, i nostri genitori (volontariamente o meno) ci fanno sentire in difetto per i nostri sbagli, magari rimproverandoci e mettendoci in punizione. Nell’ambiente scolastico questa dinamica continua, seppur con modalità differenti, e l’individuo porta con sé questi insegnamenti anche in età adulta, all’interno della propria vita, privata, di coppia e lavorativa.
In un mondo che è alla continua ricerca di colpevoli, nel quale vige la legge del “giusto o sbagliato”, “buono o cattivo”, sentirsi in colpa per qualcosa è quindi diventata la norma.
Come agisce il senso di colpa nelle nostre vite?
Attenzione però: questo sentimento svolge anche una preziosa funzione, estremamente utile e adattiva, perché può aprire spazi di autoriflessione e può produrre l’attivazione di gesti riparativi, permettendoci quindi di accorgerci di quando un nostro comportamento ha ferito un’altra persona, consentendoci di correre ai ripari e rimediare.
Purtroppo però, molto spesso, questa emozione gioca anche un ruolo negativo nelle nostre vite, creando sofferenza e pensieri negativi: molti di noi, infatti, hanno una elevata sensibilità alla colpa, ovvero una scarsa tolleranza nei suoi confronti, sovrastimandone le conseguenze.
Il rischio è che il senso di colpa si trasformi presto in auto-giudizio, comportando atteggiamenti di auto-punizione e condanna.
“Non merito di essere felice” è una frase pronunciata da molte persone, frutto di eventi della vita nei quali l’unico insegnamento è stato quello di non meritare la felicità a causa di una scelta ancora oggi vissuta come errore irreparabile: in sintesi, vivere per sempre il senso di colpa.
Il merito di Lucifer
Il merito di “Lucifer” è quindi quello di sottolineare questa dinamica propriamente umana, esprimendo il delicato e forse scomodo messaggio che il vero Inferno non è quello che esisterebbe dopo la morte, bensì è nella nostra mente!
Molte persone si autocondannano alla sofferenza, convincendosi di non poter mai essere felici e rivivendo, costantemente, eventi del loro passato che fanno fatica a superare e che generano un pesantissimo fardello da sopportare.
C’è una speranza però, una luce in fondo al tunnel: a differenza della classica visione dell’oltretomba, l’Inferno di “Lucifer” non è un luogo di prigionia eterna. Molto più simile a un tetro Purgatorio, le anime dei dannati possono espiare le loro colpe, facendo pace con i propri demoni (in tutti i sensi) e iniziando a sorridere alla vita che hanno vissuto. Solo quando il senso di colpa sarà svanito, anche la loro anima verrà purificata e potranno ascendere al Paradiso.
Un percorso di riabilitazione emotiva, simile a una psicoterapia: le persone rivivono il loro passato sotto una nuova luce, facendo pace con sé stesse e trasformando le loro convinzioni. Una strada verso la libertà, verso un profondo benessere.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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