Molte persone “piangono miseria”, lamentandosi della propria povertà, esagerandola, con fini manipolativi o a causa di una tendenza al vittimismo.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Con l’espressione piangere miseria, stando alla definizione Treccani, ci riferiamo al “lamentarsi con ostentazione della propria povertà, spesso esagerandola intenzionalmente per muovere gli altri a pietà, o anche simulandola per avarizia”.
Molte persone, infatti, tendono a ingigantire un loro problema, spesso di natura economica, così da attirare l’attenzione, farsi compatire, sfogarsi, come forma di invidia o talvolta per cercare di ottenere favori dal prossimo.
La povertà della quale ci si lamenta molto spesso è presunta o addirittura oggettivamente falsa.
Analizziamo insieme da vicino quest’abitudine comunicativa e comportamentale.
Piangere miseria come forma di vittimismo
Alcuni piangono miseria a causa di una naturale tendenza al vittimismo.
Seguentemente a un problema, o a una situazione di difficoltà che si prolunga da diverso tempo, la reazione istintiva è quella di entrare nello stato mentale della vittima, ovvero colui o colei che si è convinto che vada tutto male, che ci sia qualche forza superiore che complotti a sfavore, di essere sfortunato/a cronico, di non essere capace.
Inconsciamente, inoltre, si ha l’abitudine di focalizzarsi solo sugli aspetti negativi, sminuendo quelli positivi (senz’altro presenti ma invisibili all’occhio della vittima).
Ecco che, quindi, il racconto di colui che piange miseria sarà esclusivamente concentrato su parole chiave quali: sfortuna, destino, malessere, complotto, invidia, paragone con gli altri, impossibilità, stanchezza, fallimento, insuccesso.
Piangere miseria come forma di manipolazione
Altre persone, invece, piangono miseria con l’obiettivo (conscio o meno) di manipolare il prossimo.
Lamentandosi di un problema, magari ingigantendolo e condendolo con toni emotivi che abbiano come scopo quello di far pena all’altro, si cerca così di ottenere dei favori.
Agli occhi degli altri la persona “in miseria” apparirà come bisognosa (anche se non lo è per davvero al 100%), inducendoli quindi ad aiutarla, economicamente o in altri modi.
Come intuibile, questa forma di manipolazione andrebbe destrutturata: una necessità andrebbe invece espressa in maniera sincera e chiara, non sottoforma di lamentela.
Piangere miseria come forma comunicativa appresa
Piangere miseria può essere anche il risultato di una forma di apprendimento o di educazione ricevuta.
Vivendo in una famiglia nella quale la lamentela, soprattutto legata all’argomento soldi, si manifesta come un’abitudine consolidata, il soggetto potrebbe aver imparato questa modalità comunicativa come unica e sola valida da utilizzare.
Ed ecco che, di fronte a qualsivoglia problema economico o simile, la prima reazione sarà quella di lamentarsi.
Piangere miseria anche se si guadagna bene
Avrete sicuramente notato come, talvolta, coloro che piangono miseria siano persone benestanti o comunque sicuramente più agiate rispetto alla media.
Come mai accade questo? Sulla carta, il denaro non dovrebbe annullare la necessità di lamentarsi?
Questo accade a causa dell’educazione ricevuta, delle abitudini di vita apprese e del paragone che si effettua con altri membri della propria famiglia.
Facciamo un esempio: ammettiamo che io sia una persona che guadagna 5.000€ al mese. Agli occhi degli altri, generalmente, sarei visto come un soggetto agiato, che non ha niente di cui lamentarsi. Sono ben al di sopra della media. Non solo: la lamentela sarebbe vista addirittura come una mancanza di rispetto per coloro che invece sono in difficoltà e ristrettezze economiche. E allora, perché piango comunque miseria?
La causa del mio comportamento è da ricercarsi nel paragone che io effettuo con le mie abitudini economiche. Essendo nato in una famiglia benestante, per me i 5.000€ mensili potrebbero essere pochi, se paragonati, ad esempio, ai 10.000 che guadagna un altro mio parente.
Oppure, al contrario, nel caso io sia nato in una famiglia in difficoltà, potrei essere entrato in un meccanismo inconscio di “fuga dalla povertà” e cercare di guadagnare sempre di più, pur di allontanarmi il più possibile dalle mie origini precarie. Ecco che, quindi, 5.000€ non saranno mai abbastanza, punterò ai 6.000, ai 7.000, lamentandomi e dicendo che sarà sempre troppo poco.
Piangere miseria come forma di invidia
Altre persone piangono miseria come risposta emotiva all’invidia che provano nei confronti di un’altra persona.
Anche se svolgono un lavoro soddisfacente a livello economico, potrebbero però essere insoddisfatte a livello realizzativo, ricoprire una posizione scomoda, essere lontane dai loro sogni che avevano da ragazzi/e, portare avanti attività fonte di stress, ansia e preoccupazioni.
Quante volte ascolto i racconti di persone che ricoprono ruoli professionali di tutto prestigio, agiate a livello economico ma che, al contrario, sono profondamente insoddisfatte?
Una reazione a tutto ciò potrebbe essere proprio il piangere miseria: osservando da vicino la vita di qualcun altro, che magari guadagna molto meno ma è visibilmente più felice e sereno, si attua un paragone, frutto dell’invidia, e allora si tende a sminuire il proprio stipendio, piangendo miseria e lamentandosi con frasi del tipo: “tu sì che sei felice, non io“, “tu sì che hai un bel lavoro, non io“.
Piangere miseria come tentativo (non proprio ideale) per motivarsi
Ultima analisi va fatta su quelle persone che attuano un tentativo (non proprio efficacissimo) per motivarsi.
Piangere miseria diventa così una molla: io mi lamento, mi sfogo, ho bisogno di esprimere tutta la negatività che ho dentro, anche ingigantendo o esasperando un mio problema, e questo mi dà la benzina per risollevarmi.
In sintesi: induco me stesso a toccare il fondo, incitandomi al contrario, così da rialzarmi e rimboccarmi le maniche.
Come detto, un tentativo a dir poco contorto e per nulla consigliato, ma che per alcune persone funziona come stimolo motivazionale. Prima mi butto giù da solo e poi reagisco.
Piangere miseria e psicoterapia
Purtroppo, non tutti coloro che piangono miseria sono consci di farlo.
Molto spesso, questa modalità è ormai divenuta una radicata abitudine.
Una persona difficilmente si metterà in discussione se il proprio comportamento, in qualche modo, comunque porta dei vantaggi: come visto, talvolta lamentandosi si ottengono aiuti dal prossimo, ci si sfoga, ci si ricarica, ci si motiva.
Il problema nasce quando tutto questo provoca solo malessere. In tal caso, sarebbe utilissimo dire basta, fermarsi a riflettere, fare un po’ di sana introspezione e chiedere il supporto di qualcuno che sappia aiutarci a uscire da questa spirale negativa, come uno psicoterapeuta.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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