I like dei social e la legge dell’apparenza che governa questo mondo
Gennaio 13, 2020 By Marco MagliozziPollici in su, emoticon sorridenti, cuoricini: oggi uno dei modi di comunicare avviene tramite i social network. Una nuova modalità di intendere le relazioni, gli scambi di emozioni, le esperienze e riflessioni personali.
La rete è diventata, senza mezzi termini, una seconda casa virtuale, nella quale ognuno di noi trascorre in media circa un’ora al giorno (dati 2018 Audiweb), con picchi che raggiungono anche le 2-3 ore durante le festività. In sintesi, è come se noi dedicassimo circa un giorno e mezzo al mese completamente a questa seconda vita parallela.
Impossibile quindi non fare un’analisi approfondita di questa dinamica che in tutto e per tutto ha trasformato, nel bene e nel male, le abitudini di ognuno di noi.
Like social legge apparenza: l’uso smodato dei like
Questo mio articolo vuole fungere da spunto di riflessione, riflessione che nasce dall’utilizzo a mio parere smodato dei “like”, ovvero quei pulsantini, presenti praticamente su ogni piattaforma social, che permettono agli utenti di comunicare agli autori di articoli, post, foto o video, approvazione o disapprovazione circa i contenuti pubblicati.
Forse qualcuno conoscerà la serie televisiva Black Mirror. Ogni puntata è ambientata nel futuro, futuro che trae forte ispirazione dal mondo di oggi, con una precisa attenzione ai problemi di attualità e sulle sfide poste dall’introduzione di nuove tecnologie, in particolare nel campo dei media.
Nella prima puntata della 3° stagione, dal titolo “Caduta libera”, si narrano le vicende di una ragazza di nome Lacie che vive in un mondo dove tutto gira intorno alla reputazione social. Più sei popolare e hai buoni punteggi (paragonabili agli esistenti like), più vantaggi avrai nella tua città. Sconti, promozioni, possibilità di acquistare beni o di ottenere dei posti di lavoro sono direttamente proporzionali alla tua reputazione.
Un mondo nel quale ogni essere umano è ossessionato, in maniera quasi patologica, dal giudizio esterno, una realtà nella quale si dà pieno potere ad altre persone che, grazie a un loro click, possono aumentare o diminuire lo stato di benessere di qualcun altro.
Un mondo, in sintesi, nel quale vige la legge dell’apparenza, del finto complimento, dell’approvazione forzata e nel quale essere sé stessi esprimendo il proprio reale parere rischia di divenire un male, uno svantaggio, in quanto si correrebbe il rischio di essere subitaneamente giudicati e perdere punteggio.
Non è forse questa una estremizzazione di ciò che sta accadendo nella società attuale?
Quanti di noi, prima di pubblicare una foto, cercano in tutti i modi di apparire al meglio, ripetendo anche decine di volte lo stesso scatto, utilizzando molto spesso espressioni o posizioni forzate, filtri di bellezza, che rendono il tutto poco autentico?
Quanti di noi, in seguito, sono contenti nel vedere che la foto pubblicata abbia ottenuto centinaia di like e di cuoricini?
Ancora: quanti di noi, prima di iniziare a mangiare, fanno una foto del piatto che hanno davanti così da pubblicarlo su Instagram? Quanti, invece di godere di un paesaggio, preferiscono dapprima fotografarlo, perdendosi il magico istante e le emozioni del momento?
E cosa accade, invece, quando una nostra foto ottiene zero o pochissimo riscontro? Qual è la sensazione che proviamo, quali pensieri ci frullano nella testa? Piacevoli? Certo che no.
Se ci sentiamo chiamati in causa in anche solo uno di questi semplici esempi sopracitati, forse è perché anche noi abbiamo lasciato che il giudizio esterno (virtuale) abbia ottenuto potere su di noi con il tempo.
Questa mia analisi si rivolge a tutti, me compreso: sia a coloro che ricevono “like” sia a coloro che li mettono.
Quel pulsantino non è un gioco: l’utilizzo smodato, eccessivo, senza riflessione alcuna di questi like, altro effetto non fa che acuire questo già allarmante disequilibrio tra il senso di approvazione reale e il senso di approvazione virtuale. L’utilizzo superficiale, frutto spesso di quella noia che ci prende quando scorriamo con il pollice lo schermo del cellulare, non ci aiuta.
A volte, addirittura, utilizziamo i social in maniera strategica, per esempio quando vogliamo far capire a un nostro/a ex partner che ancora esistiamo, mettendo un like su una foto o un post che neppure ci piace o ci interessa, esclusivamente per far intuire all’altro che nonostante tutto siamo presenti nella sua vita (attuando quello che viene chiamato dalla psicologia il comportamento di “orbiting”).
Mettere un “like” deve essere frutto di una scelta consapevole: diamo valore a ciò che facciamo.
“Io, sinceramente, apprezzo ciò che hai pubblicato e quindi te lo voglio comunicare”.
In questo modo potremmo finalmente coltivare una nuova e sana abitudine ed aiutare tutti coloro che “vivono” di feedback positivi ricevuti a comprendere che l’importante è ricevere interazioni sincere piuttosto che numerose: la qualità prima della quantità.
Facciamo inoltre attenzione allo scambio di emozioni, spesso falsate perché trasmesse, in maniera filtrata e limitata, attraverso le emoticon.
L’uso delle “faccine”, consapevole e maturo, serve a comunicare all’altro cosa sinceramente stiamo provando in quel momento, nel leggere un post o nel guardare una foto. Cerchiamo la coerenza, il più possibile, tra il nostro sentire e il modo di comunicare. In caso contrario il rischio è quello di illudere, esprimendo più di quello che proviamo, o di disilludere. Le emoticon hanno il difficilissimo compito di sostituire virtualmente le espressioni umane che, come sappiamo, possono differenziarsi in migliaia di modi, con tantissime piccole sfaccettature che permettono all’altro di dare un significato diverso all’emozione trasmessa.
Anche se le emozioni di base e quelle secondarie sono quantificabili e possiamo elencarle, l’unione tra le stesse e la loro soggettività collegata alla singola persona, crea un’infinità di possibilità.
Cerchiamo quindi l’emoticon che più ci identifica in quel momento, che rispecchia noi, quello che proviamo realmente, non quello che desidereremmo provare o quello che vorremmo che l’altro sappia. In questo modo continueremo ad alimentare il meccanismo della falsità, delle maschere, disabituandoci pian piano dall’essere noi stessi sempre. Cerchiamo la coerenza, prima di tutto.
Impariamo inoltre a distinguere, anzi distinguerci, dai nostri contenuti che carichiamo.
“Quel post non sono io, bensì è semplicemente una mia espressione”.
Un like, un cuoricino, una faccina che ride, così come un dislike o un commento di disapprovazione, non sono rivolti a me, ma a ciò che ho pubblicato.
Elevato è infatti il rischio di cadere nella trappola di identificare sé stessi con il proprio alter ego virtuale. “Il mio valore si basa sul riscontro che ricevo”: è un pericolo a dir poco rilevante, per noi e per la società tutta.
Questa distinzione ci aiuterà a non ruotare nel vortice del giudizio esterno e a scollegare la nostra identità dalla rete del meccanismo di approvazione/disapprovazione social.
Un’ultima riflessione, che reputo altamente importante.
E’ appena terminato il periodo delle festività natalizie e come ogni anno i social sono stati utilizzati per scambiarsi gli auguri e magari contattare anche persone che non vedevamo da tempo.
Anche qui il rischio è quello di coltivare la convinzione, negativa, del “valgo solo se ricevo molti auguri”. Così come a capodanno, o ai compleanni, o agli onomastici, giorni nei quali persone che neppure conosciamo, ma che sono nostri “amici” su facebook, ci contattano solo perché leggono la notifica sul loro telefonino, riproponendo lo stesso messaggio di auguri ogni anno che avrà come risposta un “grazie”, un “cuoricino” o una faccina che sorride imbarazzata.
Il nostro valore è indipendente da tutto ciò: il nostro valore si dimostra nel mondo reale, attraverso gesti molto spesso non immortalati in una foto da poter esibire sui Social o di cui parlare in un post.
Cerchiamo di coltivate maggiormente la realtà e di dedicare meno spazio all’apparenza legata alla rete. I consensi virtuali potranno regalare sorrisi o brividi per qualche istante, ma le vere emozioni, intense e durature, risiedono nella vita vera, che è un terreno fertile sempre pronto a donare preziosi frutti da cogliere di cui spesso non ci accorgiamo, magari perché siamo troppo impegnati a fissare lo schermo del nostro cellulare.