Scopiazzare gli altri, un fenomeno costruito sugli stereotipi. L’identità è frutto di crescita personale
Fin dalla nascita (addirittura in fase prenatale) ogni essere umano inizia il suo personale processo di apprendimento e di strutturazione della propria identità.
L’identità è l’insieme di tutti i valori, convinzioni, conoscenze, modi di fare e di comunicare, di relazionarsi con gli altri, con sé stessi e con il mondo.
All’interno di questo grande e variopinto quadro, avvengono differenti tipi di processi di apprendimento, che influiscono sul passaggio delle informazioni.
La prima fase di assimilazione è quella che avviene per imitazione: fin da neonati, la nostra attenzione è focalizzata sulle nostre figure di riferimento, in particolar modo la madre e il padre, che costituiranno la prima forma di relazione ed “esempio” di come ci si comporta nel mondo.
Successivamente, grazie alla crescita, il bambino struttura altre forme di apprendimento, come ad esempio l’apprendimento implicito, cioè basato sulle esperienze dirette; l’apprendimento sociale, quello che prende forma grazie all’interazione con gli altri; l’apprendimento per insight, una modalità che nasce in situazioni di difficoltà o stallo e che richiedono una improvvisa e repentina raccolta di nuove informazioni, e l’apprendimento culturale, che rappresenta un insieme di dati, molto spesso precostituiti, facenti parte della nostra società e/o ambiente di appartenenza.
All’interno di questo schema si insinua quello che nella psicologia, e non solo, viene definito stereotipo, inteso come qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, persone o gruppi sociali.
Particolarmente nella fase preadolescenziale si struttura un sistema di socializzazione che prevede un forte bisogno di approvazione esterna e di sentirsi parte integrante di un gruppo.
Ogni gruppo racchiude al suo interno un insieme di regole, valori, convinzioni e di idee condivise, le quali rappresentano la spina dorsale del gruppo stesso. Chi crede e rispetta tali regole è ben accetto, altrimenti viene letteralmente isolato e tagliato fuori.
Questo comporta, soprattutto nei ragazzi che stanno costruendo una propria identità e stanno pian piano mettendo i tasselli della propria autostima, una predisposizione a credere, con poco o nullo senso critico, a tutto ciò che gli viene proposto, pur di sentirsi parte di qualcosa.
Ecco come uno stereotipo inizia a far parte del bagaglio culturale di un essere umano, che lo fa suo, e lo difende a spada tratta, pena l’esclusione dal proprio ambiente di riferimento.
Lo stereotipo è quindi uno schema mentale che non si è formato per esperienza diretta, ma originato dalla cultura del gruppo di appartenenza. Si tratta di uno schema approssimativo, non necessariamente vero e che, spesso, è stato modificato arbitrariamente in base ai valori gruppali.
Crescendo e affacciandosi all’età adulta, il bisogno di far parte di un gruppo di pari perde di importanza, le priorità diventano ben altre (lavoro e famiglia ad esempio) ma la presenza di uno stereotipo resta, come un virus, all’interno della persona.
Sarà quindi presente la necessità di difendere tale idea, sarà forte e prepotente la convinzione di aver ragione a priori, seppur dimenticando il motivo originale per il quale questa idea stessa si è fatta strada dentro di noi.
Ma quali sono le caratteristiche proprie di uno stereotipo?
Cominciamo con il dire che nel processo di passaggio di informazioni tra esseri umani vige un rischiosissimo meccanismo che viene definito dalla PNL (Programmazione Neuro Linguistica) di Generalizzazione: una caratteristica di un singolo individuo, o di pochi individui, viene estesa ad un insieme più ampio senza per forza un nesso logico o una prova scientificamente o praticamente dimostrabile, se non basata su un’intuizione di natura strettamente sillogistica.
Ad esempio, i miei genitori mi insegnano che gli abitanti del paese X “sono dei delinquenti”. Io acquisisco, in maniera passiva, tale informazione, senza mai aver fatto esperienza diretta del fatto stesso.
Molto probabilmente, i membri della mia famiglia, avranno in passato avuto esperienze negative con una, o comunque con poche persone, del paese X, estendendo poi immotivatamente tal giudizio a tutti i cittadini di quel paese.
Io acquisisco questa informazione, la faccio mia e la difendo per tutto il periodo dell’infanzia e della preadolescenza pur di sentirmi parte della mia famiglia, successivamente divento adulto e resto con tale preconcetto senza mai aver appurato la veridicità o meno della cosa.
A ciò aggiungiamo anche un altro risvolto negativo di questo meccanismo, ovvero l’effetto Pigmalione, anche detto “profezia che si auto-avvera”: una convinzione radicata, soprattutto se limitante, porterà la persona a vedere anche dove effettivamente non è presente, gli effetti dello stereotipo insito dentro di lui.
Tornando all’esempio precedente, se un bel giorno dovessi incontrare un abitante del paese X che tranquillamente passeggia sul marciapiede, potrei inconsciamente cambiare strada, per paura che mi accada qualcosa. La mia convinzione interiore, senza alcun elemento reale a disposizione, ha avverato un’esperienza (la paura del presunto delinquente), presente ahimè solo nella mia mente.
Da sempre lo stereotipo rischia inoltre di divenire un’abitudine di vita “preconfezionata”, creata ad hoc non dalla persona ma dalla società e dalle mode del momento. Non solo: le aspettative, gli standard, i ritmi biologici, la carriera, sono frutto non più di una personale predisposizione e scelta ma, molto spesso, di regole esterne, per l’appunto, convenzionali. Svincolarsi da questa facciata è quanto mai fondamentale per permettere alla persona di essere sé stessa.
È quindi possibile liberarsi dagli stereotipi?
Assolutamente sì.
Un primo passo per superarli è quello di strutturare un nuovo processo di apprendimento e di conoscenza, basato su un’analisi critica e non passiva delle informazioni raccolte. A scuola, ad esempio, questo potrebbe significare discutere insieme, confrontarsi, leggere articoli di giornale, ricerche scientifiche o analizzare altri tipi di dati che vengano percepiti come affidabili.
Il secondo passo è senza dubbio quello della consapevolezza: ogni volta che abbiamo la sensazione di difendere una nostra idea, chiediamoci se effettivamente tale idea sia nostra e solamente nostra, o se non sia semplicemente un insieme di dati precostituiti e acquisiti nel corso della nostra storia, in maniera implicita, senza un’analisi soggettiva.
Del resto il processo di crescita e di conoscenza di un essere umano si basa soprattutto sull’acquisizione di nuove informazioni e di ampliamento del proprio bagaglio culturale.
“Meglio conservare le proprie convinzioni, è meno faticoso che cambiare mappa del mondo”, è il pensiero inconscio di molti.
Difendere a priori le proprie idee, voler avere a tutti i costi ragione, è spesso solo il frutto di processi inconsapevoli che servono a mantenere uno status di finto equilibro mentale: una illusione che non sempre porta al benessere.
Come mutano gli stereotipi al giorno d’oggi, con il diffondersi a macchia d’olio delle reti sociali virtuali?
Lascio la parola a Stella Maurogiovanni, make-up artist ed esperta di bellezza e social network.
In questo particolare periodo storico siamo totalmente bombardati da influencer, attori, soubrette ma anche persone comunissime, di età variabile, che propongono, specialmente su instagram, applicazione “vetrina”, una bellezza artefatta, che rasenta la perfezione.
Non è solo grazie all’impiego sapiente di make-up o giochi di luci che ciò avviene, ma sempre più spesso e in maniera del tutto esagerata, si ricorre all’uso di programmi di fotoritocco, sempre più sofisticati e dettagliati, stravolgendo in parte o del tutto i connotati, che sia semplicemente una “piallatina” alle rughe, un brufoletto cancellato, una bocca rimpolpata o qualche taglia di seno in più, fino ad arrivare a completi stravolgimenti della propria figura fisica.
Ed ecco che subentra lo stereotipo, il desiderio di accettazione e l’ossessione della perfezione, il voler apparire impeccabili e allo stesso tempo uguali agli altri, per avere maggiori consensi e followers.
Una forma perversa di narcisismo e ostentazione, in alcuni casi una vera e propria manipolazione della realtà.
A tal proposito, seppur in maniera diversa, la voglia di mostrare al mondo una vita perfetta, una casa perfetta, un partner perfetto, sta prendendo sempre più piede.
La foto di una semplice colazione diventerà un tripudio di fiori, cuori e lustrini, un angolo di casa intimo e magari disordinato potrà trasformarsi magicamente in un luogo da favola, quasi fosse uscito da un catalogo di arredamento, con cuscini, vasi e quadretti sistemati strategicamente solo per lo scatto in questione.
Di pari passo con il desiderio di apparire, come non menzionare la malsana ma affermatissima abitudine di acquisire followers per i propri Social in maniera fittizia per esempio attraverso Bot, servizi automatizzati ma personalizzabili per ogni esigenza, capaci di far apparire un profilo poco rilevante seguitissimo e con un numero incredibile di interazioni.
Fortunatamente Instagram (al momento solo come prova) sta nascondendo il numero di like ricevuti (questo dato è visibile solo al proprietario dell’account) con stupore e sgomento di molti, ma con sollievo di chi crea contenuti di qualità.
In tal modo ogni singola pubblicazione verrà vissuta in maniera del tutto serena e senza fiato sul collo, senza timore di apparire poco richiesti o popolari ed evitando di ricorrere a stratagemmi costosi e ingannevoli, che molto spesso vengono messi in atto non solo per crearsi una finta reputazione, ma anche per attirare l’attenzione e collaborare con piccole o grandi aziende, solo con scambio merci o in alcuni casi con un compenso.
I social sono un mezzo potentissimo e molto utile se usati con intelligenza, ma possono divenire un’arma a doppio taglio che ferisce e demoralizza se non regalano i risultati desiderati, possono dar vita a fenomeni di bullismo e di esclusione se non vengono rispettati determinati standard, proprio come nella vita “reale”.
Il mio personale consiglio per evitare di cadere nello stereotipo e nell’emulazione è quello di raccontare e raccontarsi attraverso i Social con originalità, creatività, estro e autenticità, a patto che ci sia qualcosa di realmente interessante da comunicare, evitando contenuti “vuoti” e riempitivi, tenendo ben a mente che ognuno di noi possiede una personalità e un’identità ben definita che va al di là delle mode del momento.
“La felicità è una mente aperta. Fai attenzione ai tuoi stereotipi e pregiudizi, potrebbero metterti in trappola e farti perdere ciò che la vita ha da offrire.”
Med Yones