Scopriamo insieme in cosa consiste l’effetto spettatore, ovvero la tendenza a osservare, addirittura riprendere, una situazione di pericolo che coinvolge altre persone, senza intervenire in alcun modo
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Qualche giorno fa, a Civitanova Marche, è stato ucciso per strada un uomo nigeriano, Alika Ogochukwu, il tutto sotto gli occhi increduli dei passanti che hanno assistito alla tremenda scena senza muovere un dito, anzi alcuni hanno addirittura videoregistrato l’accaduto.
Ma come si può essere spettatori e riprendere momenti simili senza minimamente intervenire?
Due psicologo sociali statunitensi, Bibb Latané e John Darley, ci parlano dell’effetto spettatore, ovvero quel meccanismo mentale che si attiva nelle persone in tali circostanze.
Il caso di “Kitty” Genovese
I due psicologi studiarono tale fenomeno partendo da un altro caso simile, avvenuto negli USA negli anni ’70.
Similmente a quanto accaduto in Italia pochi giorni fa, Catherine Susan “Kitty” Genovese, giovane donna ventinovenne americana, venne stuprata e aggredita con pugnalate alle spalle da Winston Moseley, lungo le strade della città di New York.
Alla scena assistettero ben 38 passanti, ma nessuno intervenne.
Cosa accade nella mente di uno spettatore?
Quando qualcuno vede altre persone in una situazione di pericolo, si attiva nella mente una serie di meccanismi di pensiero.
Il primo è quello di entrare nella consapevolezza che effettivamente si stia assistendo a qualcosa di importante, quindi dirsi “è tutto vero, non sto sognando!”.
Successivamente, bisogna decidere se ciò che si osserva richieda il proprio intervento ed, eventualmente, assumersi la responsabilità di un eventuale soccorso.
Infine, stabilire come intervenire e concretizzare la decisione.
Tutto questa sequenza di pensieri, spesso, si blocca nella fase dell’assunzione di responsabilità: ecco perché molte persone osservano senza far nulla.
Più persone assistono alla scena, più basse sono le probabilità che qualcuno intervenga
I due psicologi, dopo diversi studi, affermarono che maggiore è il numero di spettatori, minore è la probabilità che qualcuno agisca. Questo fenomeno viene definito “effetto spettatore” o “apatia degli astanti“, in inglese Bystander Effect.
Nella mente delle persone si attiverebbe pensieri quali: “sicuramente qualcuno interverrà”, oppure “se nessuno interviene, vorrà dire che non bisogna farlo”, oppure “gli altri avranno sicuramente più informazioni su quello che sta accadendo”.
Ci si conforma quindi al comportamento dei più, senza avere la consapevolezza che adottando tutti quel tipo di atteggiamento si corre il rischio di rimanere inermi senza intervenire.
L’esperimento della Columbia University
I due psicologi fecero un esperimento sociale avente come protagonisti studenti universitari della Columbia University. Un gruppo aveva il compito di compilare un questionario, tutti all’interno della stessa stanza. Mentre, in altre stanze separate, misero singoli studenti, sempre con lo stesso compito.
Dopo un po’, in tutte le stanze, venne sprigionato un fumo nero, non nocivo. Il 63% dei soggetti che si trovavano soli si resero conto del “pericolo” immediatamente e uscirono fuori, mentre, la maggior parte degli altri che si trovavano in gruppo, non se ne interessarono.
Questo esperimento ha permesso di concludere che la presenza di altre persone e l’osservazione dei loro comportamenti, inibirebbe le nostre iniziative portandoci a conformarci con il gruppo.
Conclusioni
L’assassino di Alika Ogochukwu non era armato, poteva essere fermato, poteva essere evitata una morte così ingiusta, ma nessuno è riuscito ad agire, se non premendo il tasto “rec” sul proprio telefono.
Questa spiegazione psicologica (l’effetto spettatore) ovviamente non riduce la gravità di tale tragedia, ma ci aiuta a comprendere quali meccanismi mentali si attivano nelle persone e quanto sia rilevante, nel bene e nel male, la presenza di altri attorno a noi ogniqualvolta prendiamo delle decisioni.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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