Coronavirus: di globale c’è la paura. Cosa c’è dietro l’ansia che corre nelle persone
Febbraio 19, 2020 By Marco MagliozziIl 2020 si è presentato a noi con un biglietto da visita tutt’altro che positivo per i molteplici eventi catastrofici che si stanno susseguendo: rischio di una terza guerra mondiale, aumento dei casi di razzismo, femminicidi, riscaldamento globale, incendi disastrosi, terremoti e, per finire, l’epidemia del coronavirus, protagonista di questo articolo.
Di cosa parliamo?
Oltre 51.000 contagiati, di cui la stragrande maggioranza in Cina, più di 1.660 morti: il Coronavirus fa, giustamente, paura.
In Italia attualmente i casi accertati sono 3, la coppia di cinesi in vacanza a Roma e un giovane rientrato da Wuhan che si trovava in quarantena nella struttura militare di Cecchignola; eppure la paura diffusasi è sproporzionata rispetto ai rischi reali.
La sua propagazione sta portando con sé una minaccia ben maggiore del reale contagio al di fuori della Cina: un’epidemia di paura e il rischio psicosi.
Il panico che normalmente si genera intorno a questo tipo di epidemie sta dilagando: si tratta indubbiamente di un rischio che non va assolutamente sottovalutato, ma come sempre il buon senso e la capacità di discernimento dovrebbero guidare le nostre azioni. Purtroppo la psicosi è talmente grande che molte sono le conseguenze, immotivate e negative.
Ad esempio i ristoranti cinesi non solo hanno visto ridurre di molto le prenotazioni, con conseguenti danni per gli affari, qualcuno ha anche chiuso i battenti solo perché coloro che ci lavorano hanno gli “occhi a mandorla”. La paura obnubila la razionalità, la logica, non porta le persone a informarsi correttamente. A nulla sembrano servire gli sforzi dei ristoratori che molto spesso espongono nei loro locali o sui Social messaggi che certificano la provenienza italiana (o comunque europea) dei cibi somministrati; in alcuni casi sottolineano anche che il personale è interamente italiano o che comunque non mette piede fuori dal Bel Paese da diversi anni.
Addirittura i ristoranti giapponesi, o thailandesi, hanno difficoltà a restare aperti, nonostante nulla abbiano a che fare con la Cina ma che hanno in comune solo l’idea, immotivatamente spaventosa.
In Italia, già patria di moltissimi casi di razzismo, adesso l’attenzione si è spostata dalla pelle “nera” alla pelle “gialla”, come se la sola appartenenza ad un’etnia possa far diventare la persona portatrice del virus e causa di contagio.
Nella stessa Cina ad esempio, nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità confermi che non ci sono prove della possibilità che il coronavirus Covid-19 possa diffondersi contagiando come cani e gatti, decine di randagi sarebbero stati uccisi in strada colpiti in strada da squadroni, più o meno ufficiali, armati di bastoni.
La paura, per un essere umano, è una componente fondamentale, un’emozione di base necessaria per la sopravvivenza: ci avvisa quando si manifesta una minaccia (reale o potenziale) e ci permette di attivare tutte le risorse per affrontarla.
Un virus che contagia migliaia di persone e che si diffonde come una normale influenza, può perciò darci un’alta percezione di rischio e generare un elevato livello di ansia e paura.
Anche se il Coronavirus, secondo l’OMS, abbia un tasso di mortalità molto inferiore rispetto ad altre epidemie, e nonostante la maggiormente dei contagi e dei decessi si verifichi in luoghi geograficamente molto distanti dall’Italia, la percezione del rischio ad esso collegata è aumentata a causa del processo di globalizzazione, che rende una minaccia “lontana” virtualmente a noi vicina.
Il virus Ebola, ad esempio, sebbene sia molto, ma molto più mortale (tasso di mortalità del 50%) è percepito come meno pericoloso perché “lontano da noi”, anche se sta facendo vittime ancora oggi in Congo.
Un altro aspetto che aumenta la percezione del rischio è il fatto di non avere controllo sulla minaccia: un germe invisibile è più pericoloso, ad esempio, di un incidente stradale. La mancanza di questo controllo ci fa dimenticare dati ancora più allarmanti, come le morti per “semplice” influenza, che nel mondo sono ben 40.000 ogni anno, oppure le morti per femminicidio, le morti sul lavoro, le morti a causa della malavita, ecc.
Affermano i portavoce del Ministero della Sanità: “sono state 763mila le persone colpite dall’influenza nella sesta settimana del 2020, mentre i contagiati dal nuovo coronavirus sono 3. L’influenza in Italia causa circa 200-300 morti all’anno e altri 7-8mila sono causati indirettamente dall’influenza in persone con malattie pregresse di tipo cardiovascolare, respiratorie e altre. Nessun italiano invece al momento è deceduto a causa del nuovo coronavirus, eppure la percezione del rischio nei due casi sembra rispecchiare una realtà al contrario”.
Purtroppo ad aumentare il rischio psicosi contribuisce l’errata, ed eccessiva, diffusione delle notizie: i TG ci bombardano con continui aggiornamenti, dandoci la sensazione che la minaccia sia effettivamente dietro l’angolo. A ciò aggiungiamo le molteplici fake news, ovvero notizie false, create dai cosiddetti complottisti o semplicemente da persone non informate che fanno girare, soprattutto in rete, articoli dai contenuti discutibili, senza supporto di qualsivoglia base scientifica. Tali notizie viaggiano molto velocemente, diffondendosi a macchia d’olio. La fobia, la mente annebbiata dalla paura, molto spesso portano alla condivisione di queste notizie inesatte senza leggerne veramente il contenuto, creando allarmismi sconcertanti e inutili.
Un esempio su tutti: su internet ormai circolano moltissimi video della famosa minestra con dentro un pipistrello, un piatto tipico della Micronesia (sottolineo Micronesia, non Cina). Il collegamento mentale che facilmente viene creato è il seguente: mangio il pipistrello, vengo contagiato dal coronavirus, infetto gli altri, il virus si diffonde. Non c’è nulla di scientifico in questo. Solo immotivata paura e necessità, comprensibile ma pericolosa, di trovare una causa e dare una spiegazione a qualcosa che non si conosce appieno.
Questa mia analisi non vuole ovviamente sminuire la pericolosità di questo virus: sono più che consapevole, come professionista, che questa epidemia genera dentro molte persone paure profonde, proprio perché è qualcosa su cui non abbiamo alcun controllo, per cui al momento non esiste cura, e che ci mette a stretto contatto con l’idea della morte. Ansie e preoccupazioni, quindi, sono del tutto normali.
Come fare quindi per ridurre il rischio di psicosi?
Il primo passo, necessario, è informarsi, facendo affidamento ai dati reali, evitando inutili interpretazioni (soprattutto se non si è addetti ai lavori), evitando di diffondere notizie false e non certificate, magari chiedendo un supporto o parere al proprio medico.
“Ho visto un video…”, “ho sentito dire che…”, “ho letto un articolo su pseudoscienza.org (nome inventato)” non sono modalità efficaci per tranquillizzarci o ridurre la paura.
Bisogna conoscere i dati effettivi: il Ministero della Salute e l’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiornano quotidianamente le relative pagine sul Coronavirus.
Non serve fare incetta di mascherine, né evitare ogni persona con tratti somatici asiatici. Come non serve evitare di entrare nei negozi gestiti da cinesi: sono normali cittadini che vivono da anni in Italia e se non sono stati in Cina nelle ultime 2 settimane, la probabilità che abbiano contratto il virus è quasi inesistente. Esattamente come è sbagliato allontanare il bambino cinese che va a scuola con nostro figlio, che magari non è neanche mai stato in Cina perché nato in Italia o adottato, e che ha le stesse probabilità di contrarre il Coronavirus quante ne abbiamo tutti noi.
Il meccanismo della generalizzazione è, ahimè, una dinamica tipica dell’essere umano, che aumenta la psicosi del contagio, creando effetti ancor più devastanti della patologia stessa: svariati episodi di razzismo e discriminazione, diffusione di odio e paura, la triste tendenza di voler dare un volto ad un evento spaventoso: un virus sconosciuto e potenzialmente pericoloso viene immediatamente associato ai tratti somatici orientali, plasmandosi in un’unica entità.
Apriamo gli occhi: il coronavirus sta distogliendo la nostra attenzione da tantissimi altri problemi, molto più gravi e ben più vicini a noi, problemi che tutt’oggi fanno parte delle nostre vite, della nostra comunità più allargata, del nostro Paese.
Femminicidi, violenza di genere, razzismo, malavita, bullismo, omofobia, contano molte più vittime del coronavirus. Perché chiudiamo gli occhi di fronte all’evidenza? Perché tutto ciò non crea una psicosi?
Una domanda difficile, ma ancor più difficile è la risposta a questo interrogativo.
“Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.”
Socrate
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