Scopriamo insieme la nuova trasmissione Netflix “Trovare il coraggio”: ognuno di noi può scoprire che, anche nelle vulnerabilità, è possibile essere forti.
A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo
Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
“Sii sempre forte”, “sii sempre coraggioso!”, “la vulnerabilità è una debolezza”, “piangere è da sfigati”: quante persone conosciamo – o forse noi stessi compresi – che sono convinte di tali affermazioni? Persone “educate” a controllare l’emotività e la propria sensibilità?
Ma cosa vuol dire, effettivamente, essere vulnerabili? O essere coraggiosi?
Vulnerabilità e coraggio sono due facce della stessa medaglia
Brené Brown, una shame and vulnerability researcher, ci racconta nello speciale Netflix “Trovare il coraggio”, che vulnerabilità e coraggio sono in realtà due facce della stessa medaglia, due componenti necessarie di un’unica dinamica psicologica.
Ad esempio, se provassimo a pensare a qualsiasi evento della nostra vita in cui abbiamo dovuto essere coraggiosi, sarebbe impossibile non identificare nella stessa situazione una buona percentuale di rischio emotivo, esposizione e vulnerabilità.
Il coraggio non può essere comodo, altrimenti non sarebbe tale. Allo stesso modo, la vulnerabilità non può essere comoda o facile da gestire, altrimenti non si chiamerebbe “vulnerabilità”.
Ma se non ci concedessimo ogni tanto queste emozioni, cosa ne sarebbe di noi?
Brené stessa, nell’atto di stare lì sul palco, a svuotarsi il petto e a commuoversi senza filtri, sta compiendo una rivoluzione: per assurdo, la prima cosa che ci verrebbe da pensare osservandola parlare di questi argomenti così delicati, è proprio di quanto lei sia coraggiosa, mettendo a nudo la sua vulnerabilità.
Come mai, allora, quando si tratta di noi stessi ci sentiamo così sciocchi e deboli ogniqualvolta ci capiti di piangere o di soffrire?
La vulnerabilità è dunque necessaria. A tutti capita di sentirsi fragili e maggiormente sensibili, è uno step necessario e inevitabile per la propria evoluzione.
Ognuno di noi dovrebbe infatti imparare a gestire il “dopo”, quel senso di vergogna, il senso di colpa di essersi esposti troppo, il confronto – spesso poco costruttivo – con gli altri e i loro giudizi.
A volte bisogna “osare”, in grande
Il titolo del libro della dottoressa Brown (“Osare in grande”) nasce, così racconta, da una massima di Theodore Roosevelt che recita: “Non è il critico che conta, né l’uomo che indica […] dove il realizzatore poteva fare meglio. Il merito appartiene all’uomo che è nell’arena; il cui viso è segnato dalla polvere e dal sudore; l’uomo che sbaglia e può cadere ancora, perché non c’è conquista senza errore o debolezze, ma che veramente cerca di realizzare; che conosce il grande entusiasmo e la grande gioia; che si adopera per una nobile causa, che conosce alla fine il trionfo delle alte mete, e che nel peggiore dei casi, se fallisce, lo fa osando in grande.”
Allora non restiamo sugli spalti, scendiamo tutti nell’arena, poiché solo osando in grande possiamo renderci conto di quanto sia bello rialzarsi dal fango e dalla polvere, sapendo di aver sanguinato e che va benissimo così.
A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo
Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Nell’ottica di una sana ed etica condivisione delle informazioni, è possibile condividere l’articolo (tutto o in parte), citando la fonte.