Benedetta Pilato, campionessa di nuoto italiana, ci ha dato una grande lezione: si può gioire anche senza vincere. Questo, purtroppo, non molti lo capiscono, ancorati a un concetto rigido di competizione tossica.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Le Olimpiadi 2024 di Parigi stanno fornendo, oltre a molti risultati sportivi di spessore per gli atleti italiani, anche tantissimi spunti psicologici e insegnamenti costruttivi.
Durante le gare di nuoto, infatti, è saltata all’occhio l’intervista della Rai alla nuotatrice Benedetta Pilato, ragazza 19enne che ha sfiorato la medaglia di bronzo per un solo centesimo di distacco con la diretta concorrente.
Nonostante sia arrivata quarta, e quindi fuori dal podio, l’atleta ha comunque manifestato la sua gioia, focalizzando l’attenzione più sulla sua partecipazione all’Olimpiade che al risultato in sé.
Non tutti, però, hanno condiviso questo pensiero così maturo.
Competizione tossica: se non vinci non puoi essere felice
Frutto probabilmente della società in cui viviamo, l’atteggiamento della competizione tossica pervade tantissime persone: dallo sport, al mondo del lavoro, nelle relazioni, anche in famiglia.
Se non vinci, se non ottieni risultati, se non dimostri di essere superiore, non solo sei sbagliato, un fallito, ma non hai neppure il diritto di gioire.
Emblematica, infatti, l’analisi psicologica (che fa già orrore definirla tale) condotta negli studi Rai dopo l’intervista alla nuotatrice.
Elisa di Francisca, ex campionessa azzurra della scherma, ha affermato di non aver capito le parole di felicità di Benedetta, che non le crede, che è impossibile essere contenti e gioire per una sconfitta, sottolineando il concetto che si gareggia per vincere e mai per perdere.
Fortunatamente, a mente lucida, sono poi arrivate le scuse alla nuotatrice, ma ciò che è emerso, istintivamente, è proprio questo senso di incredulità (e di critica) nel vedere e ascoltare qualcuno felice, nonostante non abbia raggiunto il risultato sperato.
La riflessione dello psicologo
Davvero un peccato vivere in una società nella quale il fallimento non è contemplato e l’unico risultato ammissibile è la vittoria, o comunque il successo. Una mentalità che condanna tantissime persone a sperimentare ansia, paure, timore di deludere gli altri, attacchi di panico, burnout.
In realtà, sarebbe invece opportuno essere tutti in grado di cogliere il positivo e il bello anche dalle situazioni meno idilliache.
E’ questo l’atteggiamento del campione vero: non colui che vince sempre, ma colui che perde ma che è convinto che potrà vincere la volta successiva.
Sarebbe bello se tutti sapessimo dire a noi stessi “va bene qualsiasi risultato, l’importante è esserci stati”, che diventassimo appassionati ma non fanatici, capaci di accettare serenamente una sconfitta e cogliere l’insegnamento per poter far meglio la volta successiva, se potessimo sviluppare la costruttiva convinzione di “avercela comunque fatta” anche senza essere arrivati primi.
Questo vuol dire essere veri campioni e saper competere, senza tossicità.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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