Scopriamo insieme cosa scatta nella mente di coloro che agiscono violenza in gruppo, come ad esempio negli stupri.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2023, sette ragazzi di Palermo hanno violentato in gruppo una ragazza di 19 anni. Questo quanto è emerso da ricostruzioni, testimonianze e prove raccolte dalle forze dell’ordine.
Purtroppo, questo non è il primo caso e, ahimè, non sarà l’ultimo.
Ricorderete senz’altro quanto avvenuto a Torino, la sera di Capodanno del 2022.
Ma cosa scatta nella mente di queste persone che agiscono una violenza di tale genere? Quali dinamiche psicologiche si attivano?
Vediamolo insieme.
Il branco e gli istinti primordiali
Quando parliamo di violenza di gruppo, tendiamo a utilizzare il termine branco, in quanto richiama il comportamento di alcune specie di mammiferi le quali, per l’appunto, si muovono in gruppo rispettando specifiche regole collettive.
Alla base di tutto si attiverebbe un istinto predatorio, tipico del maschio sulla femmina, in cui, come negli animali, sesso e aggressione sono interconnessi.
Le aree del cervello più primitive, come quella rettiliana, diventano iper-attivate e i freni inibitori gestiti dalla corteccia prefrontale, al contrario, perdono di lucidità.
La teoria del contagio e della deresponsabilizzazione
Non abbiamo bisogno di tirare in ballo casi di stupro: ogniqualvolta ci troviamo in gruppo, anche semplicemente durante una serata tra amici, tutti noi abbiamo la sensazione di essere “contagiati” dall’emotività collettiva e tendiamo, quindi, a seguire il mood del momento.
Questa dinamica psicologica prende il nome di contagio emotivo: pur di sentirci connessi agli altri, potremmo agire gli stessi comportamenti e/o vivere le stesse emozioni.
Quando parliamo di violenza, sessuale o meno, purtroppo, si attivano le medesime dinamiche.
Non solo: l’appartenenza a un gruppo genera deresponsabilizzazione, ovvero il peso della responsabilità di ciò che potrebbe accadere, anche se criminoso, si suddivide tra i partecipanti, dando la sensazione di star compiendo qualcosa di meno grave.
Lo stupro come esibizione della potenza maschile!
Purtroppo, ancora oggi, in alcuni contesti abbiamo una cultura intrisa di mascolinità tossica, che prevede la necessità di dover manifestare la propria potenza sessuale!
Lo stupro, talvolta, diviene un’occasione per esibirsi, anche di fronte agli amici, e dimostrare quanto si è mascolini, forti e potenti!
Un comportamento causato da un insieme di pregiudizi, convinzioni limitanti e abitudini malsane.
Ad esempio, un ragazzo che ha il timore di essere emarginato dagli altri, di essere considerato un “fifone”, una “femminuccia”, un omosessuale (per non usare altri termini scurrili), rischia di emulare il gruppo e compiere quindi azioni criminali, come una violenza sessuale.
Ma quindi ogni gruppo di ragazzi rischia di agire una violenza sessuale?
Assolutamente no! Per fortuna, aggiungerei.
Nel nostro caso specifico, abbiamo a che fare con ragazzi che, purtroppo e come già accennato, hanno vissuto in una società intrisa di una cultura mascolina tossica, che molto probabilmente hanno dei deficit nell’autoregolazione emotiva (incapaci, quindi, di frenare i propri istinti), che sono molto impulsivi, con poca capacità di introspezione, di immedesimazione nel vissuto della vittima e con una forte dipendenza conformistica dal gruppo.
L’interazione di questi fattori ha generato, infine, il comportamento criminale: lo stupro!
La famiglia d’origine come aggravante
Da quanto emerso dalle indagini sul caso di Palermo, la madre di uno dei ragazzi avrebbe addirittura difeso e giustificato il figlio, tentando di sommergere quanto accaduto.
Talvolta, la famiglia d’origine, così come la comunità di appartenenza, rischia di divenire un terreno fertile nel quale questi comportamenti criminosi hanno modo di mettere radici.
Un ragazzo senza sani valori e principi morali non solo potrebbe agire, con più facilità, atti di violenza ma, supportato, difeso e giustificato dalla famiglia, potrebbe anche reiterarli e non comprendere mai la gravità delle sue azioni.
Un’unica parola d’ordine: prevenzione
La prevenzione, in questi casi, è essenziale. Intervenire solo e soltanto a crimine commesso è una sconfitta collettiva, per tutta la comunità.
Il ruolo degli adulti è fondamentale: a partire dai genitori i quali, attraverso l’educazione e l’insegnamento, hanno il compito di trasmettere valori quali il rispetto e l’amore per il prossimo.
La scuola, grazie agli insegnanti, ha il compito di stimolare il lavoro di gruppo, con un coinvolgimento emotivo sano, che mantenga una propria indipendenza.
Gli esperti, quali psicologi, avvocati, tutti i professionisti della salute, hanno il compito di mettere in atto iniziative di sensibilizzazione, prevenzione e informazione.
Il lavoro va fatto sui ragazzi, giovani e ancora acerbi. Non abbandoniamoli.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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