La bocciatura del Ddl Zan: la verità è che non siamo pronti
Ottobre 30, 2021In questi ultimi giorni si è molto parlato della bocciatura, da parte del Senato Italiano, del Ddl Zan. Ma in cosa consiste? E perché la sua bocciatura ha fatto tanto scalpore?
A cura del Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Il disegno di legge Zan – che prende il nome dal suo principale promotore, il deputato del PD Alessandro Zan – prevede, come da titolo del ddl stesso, “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“, inasprendo quindi le pene contro i crimini e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, bisessuali e disabili.
Nello specifico, i reati collegati all’omofobia verrebbero equiparati a quelli sanciti dall’articolo 604 bis del codice penale che contrasta il razzismo e l’odio su base religiosa, punendo con la reclusione fino a quattro anni le discriminazioni basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.
Il disegno di legge istituisce anche una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, per promuovere una più diffusa “cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”.
Il testo del ddl era già stato approvato alla Camera nel novembre 2020 ma, infine, è stato accantonato dal Senato il 27 ottobre 2021, con 154 voti a sfavore e con scrutinio segreto.
Cosa ci insegna la bocciatura del Ddl Zan?
Da psicologo non è assolutamente mia intenzione addentrarmi in discorsi politici e inutilmente faziosi. La bocciatura del Ddl Zan, infatti, andrebbe principalmente analizzata per comprendere quelle che sono le basi culturali in Italia riguardo questi temi molto delicati.
Lo sappiamo tutti, e non possiamo nasconderlo, che viviamo in un Paese nel quale, in molte famiglie, l’omosessualità è tutt’oggi vista come un qualcosa di assolutamente sbagliato, addirittura una malattia, qualcosa che andrebbe debellato e curato.
Alcuni ragazzi o ragazze vengono addirittura cacciati di casa, perché considerati un’offesa all’orgoglio familiare, un problema a causa di quello che potrebbero pensare i parenti e i vicini di casa.
Nel corso della mia carriera ho ricevuto moltissime chiamate da parte di genitori che mi hanno chiesto di “curare” i loro figli, perché avevano scoperto di essere gay o lesbiche.
Viviamo in un Paese nel quale, ancora oggi, esistono discorsi fondati sulla razza, come se l’essere umano potesse essere categorizzato e giudicato solo in base al colore della pelle.
Viviamo in un Paese nel quale, molto spesso, ci si immagina di essere nell’antica Sparta, come se fosse giusto bollare il cittadino disabile come diverso, percepirlo come una sanguisuga sociale e oggetto di violenze di ogni genere.
Viviamo in un Paese nel quale la bocciatura di un decreto legge così importante passa subito in sordina, mentre si continua a parlare nei bar e nelle piazze del rigore non dato a una qualsiasi squadra di calcio e che gli arbitri sono tutti dei venduti.
Queste mie generalizzazioni ovviamente non coinvolgono la totalità dei cittadini – fortunatamente, aggiungo. Nello stesso tempo, purtroppo, queste mie considerazioni si basano su dati reali, su ricerche effettuate sul territorio nazionale, che raccolgono ogni giorno moltissimi numeri ed episodi di violenza, su base razziale od omofobica.
Nel 2019, ad esempio, la comunità italiana Arcigay ha rilevato che, in Italia, si è consumata una violenza fisica contro omosessuali o transessuali, una volta ogni due giorni… Dati davvero spaventosi!
Nel 2021, si è inoltre rilevato un aumento dei casi di minacce e ricatti subiti dalle persone LGBT del 28%, anche con episodi di bullismo, cyberbullismo e mobbing.
La ricerca di IPSOS in Italia sul tema
IPSOS, uno dei più grandi enti a livello mondiale di ricerca, ha effettuato un sondaggio in Italia in merito al tema della discriminazione contro le persone LGBT. I risultati sono sconcertanti: il 30% degli intervistati ha risposto che è un argomento sopravvalutato, sollevato da pochi intellettuali, mentre il 13% non ha un’opinione in merito. In sintesi: il 43% degli italiani ignora il problema o pensa che la discriminazione in Italia non esista.
Per non parlare della grave ignoranza di informazioni riguardo il Ddl Zan: il 5% pensa che sia un provvedimento che permette alle coppie omosessuali di adottare un bambino e il 6% pensa che proponga loro la possibilità di sposarsi. Tutti punti, sottolineiamo, assolutamente non presenti nella proposta di legge. Un altro 30% degli intervistati ammette inoltre di non saperne nulla e di non averne mai sentito parlare.
Analizzando questi dati – integrandoli con molti altri frutto di ricerche effettuate negli anni passati – possiamo senza dubbio affermare come nel nostro Paese ci sia un grave deficit informativo riguardo questi temi. Molti italiani, anche i più giovani, non sono a conoscenza delle nuove terminologie LGBT, non seguono alcun corso di educazione sessuale – consigliatissimo invece nelle scuole – e sono ancora legati, purtroppo, a un’idea di sessualità e di famiglia tradizionale, incompatibile con la società attuale e con l’evoluzione dell’essere umano.
La vera arma è la prevenzione, non la punizione
La soluzione, dunque, è fare prevenzione, informazione e sensibilizzazione a 360°, partendo dai più piccoli, sino ad arrivare ai genitori e a tutti coloro che si occupano di benessere e di relazioni umane.
Bisogna in primis eliminare tutti i pregiudizi, i preconcetti e quei valori arcaici che minano le fondamenta della libertà di espressione.
Per farlo è necessario agire, proporre iniziative valide, a livello governativo, statale, che vengano dunque dall'”alto” e non limitate a “semplici” giornate internazionali di sensibilizzazione, nelle quali, tra l’altro, il 90% dei partecipanti sono persone già informate sul tema, già contro la discriminazione.
Lo sappiamo: la memoria è breve. Finita la festa, nella quale si è tutti amici, tutti complici, tutti in amore, tutti d’accordo, si torna alla vita di tutti i giorni, nella quale le persone vengono picchiate, maltrattate, insultate… muoiono.
Il Governo, per far ciò, dovrebbe anche promuovere e finanziare tali attività di sensibilizzazione, senza pretendere che in prima linea vadano sempre le associazioni del terzo settore – per definizione realtà spesso senza scopro di lucro e quindi con pochissimi fondi – oppure chiedere alle scuole di adempiere a questo compito, sottolineando tra l’altro, nello stesso decreto, che tali iniziative non debbano pesare sulle finanze pubbliche. Un controsenso, davvero.
Personalmente, ritengo che il fallimento del Ddl Zan sia stato causato dal suo essere troppo focalizzato sul concetto di punizione e poco su quello di prevenzione.
Come è possibile pensare di favorire l’inserimento delle persone LGBT in una comunità nella quale una grande fetta della popolazione è ancora legata al concetto di patriarcato, famiglia tradizionale e sessualità “standard”?
Come è possibile chiedere alle scuole di mettere in atto iniziative di prevenzione quando ancora oggi esistono dirigenti scolastici e docenti omofobi e/o razzisti?
I cittadini vanno prima istruiti, vanno informati, vanno loro offerti gli strumenti per comprendere e per accettare il prossimo, anche coloro che vengono ingiustamente bollati come “diversi” o come “sbagliati”.
Solo dopo, se necessario, sarà possibile parlare di “inasprimento delle pene”. Ricordiamolo: il 43% degli italiani pensa che la discriminazione non esista o che sia un problema sopravvalutato.
E se è vero che i politici rispecchiano il pensiero della popolazione e che, molto spesso, prendono le loro scelte non in base a ciò che sia davvero giusto per il Paese ma in base alla direzione del vento dell’opinione popolare, cosa possiamo mai aspettarci di diverso?
In un mondo ideale, concetti come “razza”, “omofobia”, “transfobia” et similia, non dovrebbero neppure esistere. In un mondo ideale, in un Paese civile e moderno, il 100% dei genitori dovrebbe abbracciare il proprio figlio che fa coming out, piuttosto che cacciarlo di casa o mandarlo da uno psicologo per farlo “guarire”.
A cura del Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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