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AIDS e HIV: perché parlarne è ancora un tabù?

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L’AIDS, ovvero la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, è stata per decenni la malattia del XX secolo. Perché parlarne è ancora un tabù? Quali sono i risvolti psicologici?

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) rappresenta lo stadio clinico terminale dell’infezione causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV).

Questa malattia è considerata come una delle più grandi pandemie della storia umana.

Diagnosticata per la prima volta nel 1981, si contano nel mondo 51.2 milioni di morti (dati UNAIDS, 2022).

Ad oggi, grazie ai progressi della ricerca farmacologica, è stato possibile salvare numerose vite, ridurre drasticamente il numero di decessi e far sì che le persone sieropositive (ovvero positive al virus HIV) potessero vivere una vita il più possibile normale e senza manifestazione dei gravi sintomi dell’AIDS.

I pregiudizi sull’AIDS e HIV

HIV e AIDS portano con sé un pesante bagaglio culturale intriso di pregiudizi e di paura.

Per anni, questa sindrome è stata bollata come la malattia degli omosessuali e dei tossicodipendenti.

I principali canali di trasmissione, infatti, sono il sangue umano e le secrezioni genitali, in particolar modo lo sperma.

I rapporti anali (ed ecco perché il “bollo” come malattia degli omosessuali) rappresentano un maggior rischio di contagio, in quanto la mucosa rettale può presentare o subire microtraumi e microferite a causa dei quali è possibile entrare in contatto con sangue infetto.

Inoltre, il pene maschile è dotato a sua volta di mucose che potrebbero presentare ulcere o piaghe e la pelle del membro potrebbe anche lacerarsi durante un rapporto e quindi aumentare il rischio.

A ciò, aggiungiamo anche la pratica spesso utilizzata da alcuni tossicodipendenti di scambiarsi siringhe già usate da altri (e quindi contagiate di sangue infetto) per iniettarsi dosi di eroina o altre sostanze.

Comprendiamo bene, quindi, come oggi sia così difficile parlare liberamente di AIDS, HIV o sieropositività. Un soggetto che scopre di essere sieropositivo subisce, senza volerlo, questo enorme peso del pregiudizio. Si ha dunque paura di parlarne, condividerlo con la famiglia, con gli amici, con il partner.

Convivere serenamente con l’HIV è possibile?

Come accennato, grazie alle moderne cure, le persone sieropositive possono convivere con il virus in quello che viene definito stato di latenza clinica, ovvero essere positive all’HIV ma senza manifestare i pericolosi e mortali sintomi dell’AIDS.

Nonostante ciò, il 20-40% delle persone coinvolte rimanda la comunicazione, principalmente per paura del giudizio e dell’emarginazione.

Molti dichiarano che l’infezione genera fortissime ripercussioni a livello della salute mentale e, non di rado, si rischia di cadere in stati d’animo depressivo o sviluppare vere e proprie forme di depressione acuta.

A ciò, aggiungiamo che, talvolta, viene a mancare il supporto familiare: alcune famiglie preferiscono allontanarsi e stigmatizzare la persona sieropositiva, aumentando sensibilmente il suo malessere psicologico.

L’autostigma

Secondo la Prof.ssa Gabriella d’Ettorre, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università “La Sapienza” di Roma, quando si parla di HIV o AIDS si assisterebbe a una dinamica che viene definita autostigma.

Il 95% delle persone sieropositive che comunicano l’infezione lo fanno in modo molto parziale, escludendo talvolta parenti e amici.

I soggetti coinvolti, quindi, per paura del pregiudizio e delle ripercussioni sociali, attuerebbero autonomamente una forma di censura, auto sabotando involontariamente il proprio benessere psicologico e diminuendo quindi la qualità della loro vita.

L’obiettivo terapeutico deve focalizzarsi anche sugli aspetti mentali dell’infezione: è importante poterne e saperne parlare, sensibilizzare il paziente in primis ma anche la famiglia e chi lo circonda, evitando queste tristi forme di autoesclusione.

Sintomi psicologici conseguenti all’HIV

Scoprire di essere infetti dal virus dell’HIV potrebbe comportare numerosi effetti psicologici.

Secondo Alessandro Lazzaro, Università “La Sapienza” di Roma, non è raro assistere allo sviluppo di forme depressive, insonnia, disturbi d’ansia e gravi danni a livello socio-relazionale.

La paura della morte, connessa alla storia purtroppo tragica del virus e alla sua manifestazione sintomatologica (AIDS), è sempre dietro l’angolo.

E’ quindi importante, per i professionisti, saper comunicare estremamente bene l’iter terapeutico e aiutare il paziente a prendere consapevolezza del suo status, guidarlo durante tutto il percorso, consigliando anche un supporto psicoterapeutico.

Il problema della disinformazione

Oggi, nel 2023, abbiamo purtroppo un problema di disinformazione.

E’ ancora troppo diffusa l’idea dell’HIV/AIDS come malattia relegata agli omosessuali e ai tossicodipendenti.

Una convinzione, tra l’altro, molto forzata, in quanto i recentissimi studi dimostrano come non sussistano sostanziali differenze tra uomini e donne e, addirittura, come il virus possa infettare anche soggetti di età inferiore ai 14 anni.

Non solo: è parere comune come l’HIV sia un virus altamente contagioso. In realtà, gli studi hanno disconfermato tale convinzione. Il virus rientra infatti nella categoria “bassa contagiosità” e per trasmettersi ha bisogno di un’elevata concentrazione di particelle virali vitali, presenti come detto principalmente nel sangue o nelle secrezioni genitali.

Ciò non vuol dire che bisogna abbassare la guardia, tutt’altro, ma neppure, al contrario, bollare come “appestati” le persone seriopositive e rifiutare abbracci, baci, addirittura negare la vicinanza fisica.

HIV e psicoterapia

Un percorso di psicoterapia per le persone che scoprono di essere seriopositive o che da anni vivono il peso del pregiudizio o altri malesseri, è assolutamente consigliato.

Oltre alle necessarie e dovute terapie farmacologiche, il ruolo dello psicologo-psicoterapeuta diviene dunque di fondamentale importanza per supportare e guidare i pazienti a ritrovare una meritata serenità, lavorare sulle forme di autostigma o stigma familiare/sociale, modificare eventuali comportamenti o stili di vita deleteri per la propria salute psico-fisica, accettare ed elaborare la paura della malattia, imparando dunque a convivere tranquillamente con essa e continuare una vita il più possibile sana e serena.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Nell’ottica di una sana ed etica diffusione della cultura, si invita a citare la fonte e l’autore di questo articolo nel caso si desideri condividere – in tutto o in parte – il contenuto.

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