Vediamo insieme i numeri dell’abbandono di neonati in Italia, analizzando nello specifico la storia del piccolo Enea.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Negli ultimi giorni sta facendo molto scalpore in Italia la storia di Enea, un neonato lasciato nella Culla della Vita della Clinica Mangiagalli di Milano.
Le motivazioni alla base di questo gesto sono tutte da scoprire, ma già si è mossa una macchina mediatica senza precedenti che ha messo a nudo un insieme di fragilità e disinformazione che caratterizzano, ahimè, la nostra società.
Cos’è la “Culla della Vita”?
La Culla della Vita è un servizio messo a disposizione dalla Clinica Mangiagalli di Milano, che permette a chiunque ne senta la necessità, e in totale anonimato, di lasciare un neonato alle cure dell’ospedale, nella speranza che venga poi dato in adozione a una famiglia in grado di prendersene cura.
Servizi simili ne esistono molti in Italia e vengono chiamati con nomi diversi a seconda della Struttura Sanitaria.
I numeri degli abbandoni dei neonati in Italia
Nel nostro Paese, secondo le stime della SIN (Società italiana di neonatologia), vengono abbandonati ogni anno ben 3.000 neonati.
Il dato sconcertante, purtroppo, è che di questi 3.000 soltanto il 10% viene lasciato davanti agli ospedali e soltanto tre sono stati affidati alla “Culla della Vita”. Tutti gli altri finiscono in cassonetti o in scatole sui marciapiedi sperando che qualcuno li trovi.
Ecco perché sarebbe più giusto parlare di “lasciare” e non di “abbandonare”
Un genitore, o chi per lui, che decide di affidare un neonato alla Culla della Vita lo sta lasciando lì e non abbandonando.
La terminologia, in questi casi, fa la differenza e il verbo abbandonare, come sottolineato dai dati del SIN, significa ben altra cosa.
In Italia, purtroppo, si tende invece a marcare il semplice gesto, perdendosi in facili giudizi e senza cogliere invece tutto quell’insieme di motivazioni che possono aver spinto una persona a prendere una decisione così importante.
Molti pensano che la causa principale sia una difficoltà economica, ma quante volte non si è davvero pronti psicologicamente a diventare genitori o quante volte, anche per ignoranza, si iniziano gravidanze indesiderate, costretti a portarle avanti dalle famiglie o magari con partner che non si amano più o che sono stati violenti?
Tantissimi esempi, che non vanno mai giudicati, ma compresi nella loro interezza. Questo, ahimè, non accade quasi mai.
Compiere un gesto simile, dunque, dimostra invece un grande rispetto per la vita del neonato, al contrario di ciò che molti pensano, focalizzandosi esclusivamente sull’abbandono in quanto tale.
Ammettere di non avere le risorse (che siano economiche, mentali, fisiche, sociali) di prendersi cura di qualcuno, è un enorme atto d’amore verso il prossimo.
L’appello “discutibile” di Ezio Greggio
Ezio Greggio, conduttore televisivo, ha lanciato un appello nel quale chiedeva alla mamma “vera” di tornare a prendere il proprio bambino lasciato alla clinica.
Ecco, questa è stata, a mio parere, una grande occasione persa. In realtà, è stata dimostrata così tutta la disinformazione che dilaga tra tante persone nel nostro Paese.
“Prendi il tuo bambino che merita una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera”.
Ma cosa vuol dire questa frase? Tutte le famiglie composte da persone che non hanno legami biologici sono “non famiglie”? Che le mamme adottive o affidatarie non sono mamme?
Giudizi a non finire, figli di una cultura ancora troppo àncorata a un modello di famiglia tradizionale e per nulla elastico con le esigenze di tantissimi neo-genitori.
Il miglior genitore in assoluto è quello biologico?
Questa mia domanda è più una provocazione, in senso stretto.
Ovviamente, l’ideale sarebbe sempre che il genitore biologico e quello adottivo coincidano. Una persona mette alla luce un bambino e se ne prende cura, con amore e dedizione.
Non sempre, però, questo accade.
Ecco perché, a volte, si ricorre all’adozione o all’affido.
Gli esperti, in questo, sono d’accordo su tutta la linea: prima ancora della condivisione dello stesso sangue e dello stesso DNA, bisognerebbe condividere lo stesso amore e voglia di crescere assieme.
Genitori adottivi, che desiderano con tutto sé stessi avere un bambino, possono talvolta rappresentare una valida soluzione.
La differenza tra adozione e affido familiare
L’affido familiare e l’adozione sono i principali strumenti giuridici che, in Italia, tutelano il diritto ad avere una famiglia.
Per affido si intende l’affidamento temporaneo di un minore a una famiglia che possa prendersene cura.
La legge prevede che questo avvenga solo nel caso in cui la famiglia originaria stia attraverso un grave momento di difficoltà o non sia in grado di garantire un ambiente idoneo a una crescita sana ed equilibrata (L. 184/1983).
Le cause possono essere molteplici: motivi di saluti di uno o entrambi i genitori, carenze educative, conflitti familiari, violenze domestiche.
L’affido può durare fino a due anni, durante i quali la famiglia affidataria ha il compito di provvedere all’educazione e al mantenimento del minore, occuparsi delle sue esigenze affettive e materiali e mantenere i suoi rapporti con la famiglia di origine.
L’adozione permette invece di creare un rapporto di filiazione fra soggetti che non sono legati biologicamente. Un bambino adottato, infatti, è considerato legalmente figlio della coppia e gli sono riconosciuti tutti i diritti che spettano ai figli legittimi e naturali (L. 184/1983, parzialmente modificata da L. 149/2001).
La legge prevede l’adozione nei casi in cui sussista uno stato di abbandono, affettivo e/o relazionale, che ha causato gravi effetti sulla sfera fisica, psicologica e/o cognitiva del minore.
A partire dal 2015, la legge prevede inoltre la possibilità che l’affido si trasformi in adozione, affermando il diritto alla continuità affettiva dei minorenni in affido (L. 173/2015).
Il ruolo dello psicologo
Per un bambino, futuro adolescente e futuro adulto, avere la sensazione di essere stato abbandonato dal proprio genitore biologico è davvero ardua da accettare. Per quanto si possa sviluppare una personalità forte, permane comunque nell’animo una ferita difficile da sanare.
Ecco perché, in questi casi, il ruolo dello psicologo è fondamentale, così che si possa aiutare la persona a far pace con questa consapevolezza e vivere il più possibile una vita serena, assieme alla nuova famiglia adottiva, facendo comprendere appieno le motivazioni che possono aver spinto, all’epoca, i genitori naturali a volerlo lasciare.
Riflessioni
Troppe volte ci lasciamo andare a facili giudizi, rigidamente convinti che il modello di famiglia al quale siamo abituati sia sempre e solo quello giusto.
Attorno a noi esistono invece una moltitudine di realtà familiari che, invece, andrebbero analizzate in maniera il più possibile costruttiva e mirata al miglioramento delle condizioni di vita, non per puntare il dito contro persone in difficoltà.
Lasciamo andare, dunque, i nostri punti di vista e pensiamo esclusivamente al benessere di un neonato: cos’è meglio per il piccolo Enea?
Crescere con una famiglia adottiva che lo amerà e lo educherà o con una madre “vera”, biologica, che non si sente però in grado di accudirlo e amarlo come ogni neonato meriterebbe?
Ai posteri l’ardua sentenza.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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